Diavoli di sabbia di Elvira Seminara

Diavoli di sabbia

Tutti conosciamo l’alchimia difficile delle coppie, i segreti, le bugie, la voglia di felicità e la forza corrosiva dei tradimenti. In ogni istante della nostra vita siamo amanti, figlie, fratelli, compagni, amiche. Una notte, dopo un’accesa discussione, Rodolfo si chiude in una stanza nella casa di Dora per non uscirne piú. Indecisa se ignorarlo o chiamare la polizia, lei ne parla all’amica Manuela, che poi torna a casa e si confida con Livio, che poi si precipita dal fratello Tommaso in ospedale, che poi telefona al fidanzato Samuele, che poi riceve una strana proposta da una cliente, che poi… Elvira Seminara dà vita a una struttura originalissima e vertiginosa, un susseguirsi di dialoghi che fanno il girotondo, dove i personaggi e il lettore rimbalzano da un ruolo all’altro, da un inciampo al successivo, senza mai fondersi né perdersi davvero. Siamo dialogo incessante, sempre in relazione con qualcun altro, anelli malfermi e lucidi di un interminabile giro di parole. E poi siamo diavoli di sabbia, violenti e fragili: ci solleviamo nel vento pronti a graffiare.

Introduzione

Una madre che dona la vita non può spiegarti che il suo regalo dura la fugacità di un attimo. Il primo vagito è un grido che fa convergere la rinascita e il dolore nello stesso sterminante secondo in cui il tempo ti dà l’illusione di averlo raggiunto ma sta nuovamente scappando per correre libero da ogni vitale vincolo e sentirsi immutabile come lo scorrere del fiume per disegnare il perduto orizzonte in quest’universale vastità che qualcuno ha chiamato mondo senza che esso ci appartenga veramente. Solo per l’umano bisogno di denominare ogni cosa e appagare la smania di controllo che contraddistingue la specie. Non avendo la minima percezione che se ogni pugno chiuso si aprisse resterebbe disarmati di fronte al dissacrante niente mentre eravamo convinti di stringere il tutto. O forse lo sappiamo fin troppo bene e abbiamo paura della nostra stessa paura di restare immobilizzati in quella sabbia che rasenta ogni più minuscola follia. È più comodo pensare che sia estraneo da noi, ma come fare se nemmeno l’esistenza è nostra? L’animo ha continuamente bisogno di colmare il vuoto, perché quello stesso vuoto generato dalle azioni lo turba e non si può permettere di provare turbamento. Esso è, infatti, troppo astratto e indefinibile che è meglio scappare. La fuga eterna nella concretezza di un’ancestrale pulsione che tiene vivi ed è il terrore di non trovare più nessuno a fianco o dietro di noi. Un attimo prima vorremmo scacciarlo e pure senza quel qualcuno cosa saremmo? Una parte ancora più infinitesimale che faticherebbe a diventare stella perché non è mai esistita realmente . Per cosa viviamo allora? Un circuito di perché che restano sopiti senza una risposta, imprigionati nella riproduzione, un processo incessante senza fine e inizio .

Aneddoti personali

Inizio col dire che recensire un romanzo di Elvira Seminara per un blogger che ha iniziato da qualche anno ormai, è un vero onore. Lo spessore umano e culturale di questa donna è talmente tanto che non basterebbero pagine per descriverlo nella sua interezza. Lei e tutta la sua straordinaria famiglia sono uno dei motivi che mi rendono orgoglioso di essere siciliano. Un eterno grazie quindi a tutta la famiglia Di Grado per come sono e quello che hanno fatto e continuano a produrre per la cultura . Che dire di Diavoli di sabbia? Mi sono più volto interrogato se fossi in grado di recensirlo e ancora una risposta non l’ho, però voglio provare a raccontarvi le emozioni che mi ha lasciato. Mi ha riportato all’altro mio grande amore che è il teatro, elemento che mi ha permesso insieme alla bellissima scrittura dell’autrice di divorarlo in poche ore. Un libro che diverte e disarma allo stesso tempo ma che ti fa riappropriare del vero significato della letteratura che è quello di narrare il quotidiano , creare situazioni dove tutti possono più o meno riconoscersi e specchiarsi almeno intimamente . Farlo con eleganza e raffinatezza appartiene soltanto ai grandi ed Elvira senza dubbio lo è. Le emozioni sono state talmente tante che mi hanno portato a postare un post su Facebook dove in modo molto estemporaneo ho lasciato che prendessero forma e si raccontassero da sole. Se ci sono riuscito, non lo so ma siccome amo la condivisione, l’ho fatto, affinchè non restino solo mie e questo può accadere soltanto con le belle letture che meritano di essere raccontate. Nel cuore porto la speranza di poterla un giorno ringraziare e abbracciare.

Recensione

Il confine tra bene e male è labile come quello tra arte e vita che l’uomo racchiude nella sua corporeità senza però comprendere la sua effettiva essenza. Si consola della sua differenziazione per quella capacità pensante che si estranea da lui perché nel momento stesso che diventa parola o dialoga inconsciamente attraverso i sogni sarebbe costretto ad affrontare una verità indicibile. L’uomo e le sue paure sarebbero un infinto canovaccio da scrivere che l’autrice racchiude nel suo nuovo romanzo con maestria e raffinatezza ci rappresenta con pennellate sicure la sospensione dell’attimo. Quel preciso istante in cui si perde e si ritrova il sé più profondo in un moto incessante che crea nella sua ciclicità un inaspettato circuito tra le parti. È così che la scrittura diventa uno strumento anatomico attraverso cui scardinare il reale in ogni sua sezione pur sapendo che il capovolgimento della clessidra comporterebbe una mutazione della visione che cambierebbe a sua volta in base allo sguardo e alla prospettiva. Si creerebbe un dna uguale per tutti che non smetterebbe mai di riprodursi e si annoierebbe dell’infinita duplicazione delle copie. Prendendo il significato latino del termine non batterebbero tutta l’abbondanza e gli eserciti del mondo per risolvere un conflitto interiore. È, infatti, una guerra personale che fa sentire più soli di quanto già non siamo. Coelho sostiene che il vincitore è solo ma nel terreno della vita si è destinati a essere sempre sconfitti, perché le regole del gioco non si apprendono mai veramente. Che cosa significa poi giocare se non la traslazione di un mondo parallelo nella coperta di stelle dell’illusione. L’essere umano si ritrova così ingabbiato in un ruolo dai molteplici nomi che non cambiano l’interna consistenza. Mediante il ruolo si apprendono ambivalenza e finzione ed è qui che inizia la vera recita dove il fine ultimo è quello di separare ancora una volta la menzogna dalla verità. La scrittrice crea un microcosmo perfetto in cui rappresenta proprio quell’istante. All’interno si trovano tra gli altri lo psicologo Roberto, gli insegnanti Livio e Iris l’architetto Dora e l’autrice lo invita come fosse un gruppo di bambini in un girotondo di vite dove la sfida è perdersi – ritrovarsi ma soprattutto riconoscersi dopo essersi persi. L’integrità dell’essere, infatti, non esiste, si è inclini per natura all’errore e al tradimento. Personaggi vestiti a festa in un pub o in una giostra danzano sui cavalli mentre il pendolo oscilla tra vita e morte. L’arte del confronto serve a sentirsi meno soli e la struttura dialogica delle quattordici scene è utilizzata magistralmente in tutta la sua fluidità , perché il dialogo è il mezzo dell’ emersione . La scrittura ti riappropria del valore intrinseco della letteratura. Come nel vaso di Pandora non si è a conoscenza delle conseguenze che nascono dall’apertura di un cassetto dell’anima. Si parla di crisi esistenziale, di omosessualità, di omicidi commessi. Qualcosa che non ci saremmo mai aspettati. Ogni personaggio è tratteggiato secondo un lirismo antico e una rievocazione della tragedia classica spogliata di ogni orpello e mostrata per ciò che è: il racconto del reale in tutta la sua complessità e tragicità. Elementi percepibili già nell’esergo di Ripellino. La materia trattata è delicata come una corda di violino Nell’ aria riecheggia la risata di Medea in tutto il suo sadismo, oppure la grottesca lezione di Ionesco mentre la teatralità è il talismano per tenere a bada la morte. Quella stessa morte che i personaggi nel loro morboso e ossessivo attaccamento all’ordine vitale credono di aver scampato, come il soldato che ritorna a casa dalla guerra, ma è soltanto un appuntamento che non si può rimandare, poiché Samarcanda non è poi così lontana e nel frattempo l’uomo si circonda di tante sbarre da morire un po’ ogni giorno da creare la sua prigione. Allora si vive per quell’unico istante che separa fine e inizio e permette ai due amanti di riconoscersi anche in un teatro apparentemente vuoto. Si sa soltanto che in quest’ambivalente rapporto uno dei due è in una posizione privilegiata rispetto all’altro e quell’, altro non lo può raggiungere a causa delle insormontabili scale. Quel ti amo o ti odio resta sospeso mentre in un’iniziatica contemplazione i corpi fluttuano leggeri perché finalmente combacianti, hanno compreso, infatti, di essere parte integrante del bene quanto del male esattamente come un raggio di sole in uno squarcio di luna .

Conclusioni

Consiglio questo libro a chi è alla ricerca di una lettura sorprendente, originale e unica non ascrivibile in un genere preciso ma emanante bellezza e armonia in ogni pagina per restare nel vostro cuore per sempre .

Voto

5/5

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