Il cielo sbagliato di Silvia Truzzi

Il cielo sbagliato

Mantova, 1918. Nel giorno dell’armistizio della Grande Guerra due bambine vengono al mondo a poche ore di distanza. Dora in una poverissima casa vicino al lungolago, già orfana perché sua madre muore di parto e suo padre è un soldato disperso. Qualche ora dopo, nasce Irene, l’ultimogenita dei marchesi Cavriani, famiglia dell’antica nobiltà cittadina. Le due bambine crescono – una tra la fame e la miseria dei vicoli, l’altra negli agi del palazzo che porta il nome della sua famiglia – e si incontrano ogni domenica sul sagrato di Sant’Andrea. Dora chiede l’elemosina e nella sua mano la piccola Irene deposita un soldo e un sorriso clandestino di solidarietà e compassione. Gli anni passano e mentre il Fascismo si fa regime, e insanguina le strade della città, due vite destinate a rimanere separate da un’insormontabile differenza di classe si incrociano di nuovo. La sorte che ha portato Dora nella casa borghese della famiglia Benedini, dove è stata accolta e ha ricevuto un’istruzione, le ha fatto anche dono di una bellezza fuori del comune che fa girare la testa agli uomini. Tra loro c’è anche il timido Eugenio, figlio dei ricchissimi Arrivabene e cognato di Irene. Sfidando l’ostilità delle famiglie, Dora si fidanza in segreto con Eugenio ma il bel mondo che comincia a spalancarsi davanti ai suoi occhi ha in serbo per lei molte sorprese: in una girandola di splendidi vestiti, ricevimenti e intrighi, Dora dovrà difendere tutto ciò che ha conquistato con tanta fatica.
Dettagli

Introduzione

Cogliere la bellezza nelle cose e negli altri sembra impossibile quando l’infanzia è negata Quando nel volto dei bambini non c’è sorriso alcuno ma solo cibi di cenere e sogni di polvere.  Il divario sociale esiste è tangibile si tocca, si vede addirittura si arriva a odorare. Quante storie può raccontare una pelle! Si  riesce   a  fingere    solo  per  metà   perché   la  vera   natura   emerge    sempre     e  lì poi  ogni  ramificazione    emotiva  è   superflua    perché   ogni  certezza   si   annulla  e   solo    una  cosa      resta : l’essere  umano    tra  devastazione  e  riscatto. Un’epopea familiare tra sotterfugi, inganni affari, povertà, miseria A farne   le  spese ancora  una  volta purtroppo sono le donne che in questo libro scrivono la loro storia e la vivono pienamente decidendo da che parte stare anche quando si nasce nel cielo sbagliato.

Aneddoti personali

La mia strada con Il cielo sbagliato di Silvia si è incrociata grazie a due persone speciali che sono i miei amici Costanza e Marco. Mi ricordo che all’epoca stavo scrivendo le varie uscite libresche per un file word quando mi mette in contatto Costanza e mi dice di aver vinto attraverso un programma radio questo libro M’incuriosisco e lo segno. Marco invece a sorpresa me lo regala e lo ringrazio tantissimo. Finalmente è arrivato il momento di leggerlo e devo dire che è stata una lettura molto appassionante e avvincente anche se ho qualche piccola remora. Lo stile e la storia mi sono piaciuti tantissimo, alcune parti sono certamente emozionanti ma sinceramente i miei dubbi riguardano la protagonista. Non ho, infatti, compreso la scelta dell’autrice dopo una prima parte certamente perfetta di mutare la personalità e farla crescere come una giovane frivola, leggera e amante del lusso che stona totalmente col passato Purtroppo per lei e per fortuna per il lettore c’è una terza parte, dove la guerra la fa maturare e compiere scelte più consapevoli. Anche se Dora talvolta è certamente insopportabile, ci sono gli altri personaggi a rendere questa storia veramente unica. All’interno ci sono protagonisti stupendi come Irene, Adele, Eugenio, Enea, Nino, Rosa e Maria che ho amato molto e sicuramente apprezzerete anche voi. Sono quasi sicuro visto il finale che potrebbe esserci un seguito che aspetto con grande fervore .

Recensione

La felicità è un raggio di sole sporadico in una giornata di pioggia, l’infelicità invece si radica dentro l’anima modificando anche pelle e cuore. Come sostenuto da Tolstoj essa si differenzia da tutti gli altri sentimenti e sembra una condanna senza fine, dove ogni appello si ficca in gola come una lama incandescente. Un marchio di sangue e polvere che attraversa le epoche, e trova riparo solo nel freddo della neve, perché quando tocchi la disperazione fedele compagna di una monotona routine, la morte fa meno paura. Trovarla nel volto di bimba come un nero fiore non ancora sbocciato fa scattare una pietà oltre ogni umana comprensione. Un incrocio di sguardi che uccide più delle monete. Esse non hanno alcun luccichio anzi sono più scure della notte che copre tutte le cose col suo caldo manto. Perché anche le notti per chi è povero hanno un colore diverso. Un fiammifero che resta acceso solo per pochi secondi e il suo caldo bagliore muore prima che la luce si tramuti in desiderio che resta cullato nei cardini del cuore. Una sopita speranza alimentata con la rabbia e l’orgoglio verso un domani migliore, che non faccia vincere ancora una volta il pregiudizio A tutto questo pensa la piccola Dora, un guscio di noce senza voce alcuna perché lei è figlia del silenzio. Una foglia morta ancora prima di nascere, perché ci sono tanti modi per morire anche restando formalmente vivi. Dora è una bambina senza sogni, non può permetterseli, ci sono altre urgenze da sfamare. Una corsa ad ostacoli in cui non esistono vincitori ma solo vinti, beffati da quel destino che lei ha deciso di cambiare. Lei è una moderna piccola fiammiferaia ma un giorno “ dialogando “ col personaggio andersiano si renderà conto che persino quella sorella romanzata è stata paradossalmente più fortunata di lei nell’infanzia perché lei aveva un affetto da cui tornare e chissà che vita avrebbe avuto se quel Dio non l’avesse richiamata. La sua partita col destino deve avere un finale diverso, per riscattare tutte quelle come lei. Dora, infatti, è la bambina- donna dei senza. Non ha mai conosciuto i genitori, il padre era un giovane disertore e la madre è morta dandola alla luce. L’unico parente è una nonna che di Regina ha solo il nome, perché è dispotica, la vera incarnazione della cattiveria. Quello che Dora non sa è che a pochi isolati da lì lo stesso giorno della sua nascita una marchesa arrivista ha partorito una bambina di nome Irene. Due vite che combatteranno strenuamente la condizione femminile, un marchio indelebile che segnerà inevitabilmente la società novecentesca. Nell’omelia della carità e della miseria nascerà un piccolo fiore di speranza, un’amicizia destinata a durare per ogni battito. Nel frattempo la piccola Dora va a servizio dai Benedini commercianti arricchiti che nonostante tutto insieme alla variegata servitù le doneranno una parvenza di famiglia. Per lei questo è un dono ed è così che inizia la sua virata esistenziale e in una notte buia e tempestosa decide che il cielo può attendere. Il fato non deve risarcire solo lei ma anche Irene perché la ricchezza cui Dora aspira in realtà cela al suo interno trappole insidiose e profonde mancanze. Anche la vita di Irene, infatti, è priva d’amore. Ha una salute cagionevole e un animo da crocerossina che pur trovando conforto nella preghiera capisce che la sua vera battaglia è contro quel cielo sbagliato che nel Novecento ha fatto conoscere alla gente una donna che come loro sono una pedina nella scacchiera arrivista degli uomini ma che nelle sue sei lettere è costituita anche lei da sangue e morte. Infine c’è Adele una ragazza docile buona, taciturna ma talvolta espansiva dall’inaspettato spirito guerriero. Se la società la vuole in prima linea, lei preferisce stare nelle retrovie, perché è da lì che può formulare un pensiero in grado di scardinare quello strano motore che a certo punto piccherà forte, catturerà e parlerà di razza, ma quello stesso motore le farà conoscere l’amore ed è per questo che lotterà perché anche una macchia d’inchiostro su un giornale può fare notizia. Un romanzo a cavallo tra le due guerre, un affresco universale accurato, una finestra sulla cultura qui ben rappresentata soprattutto da D’Annunzio e Mondadori. Il romanzo però è anche un atto d’amore dell’autrice verso Mantova, con il suo tratto leggero lo stile scorrevole sembra dare alla città e ai personaggi tutte quelle carezze che sul volto hanno gridato troppo a lungo la mancanza di un gesto affettuoso. Una saga familiare avvincente in cui riecheggiano modelli come Dickens, Jane Austen e Sveva Casati Modignani. Un romanzo sul potere ammaliante della bellezza, sulle scalate sociali che non smettono di mostrare il vero volto del dolore soprattutto in un luogo in cui ci si dovrebbe sentirsi sicuri. Sfumature d’amore e odio in ogni forma. Un testo che sfrutta al meglio due concetti far comprendere che l’origine e la provenienza non sono solo un complemento ma è qualcosa di molto più intimo, Si ritrova, infatti, a giocare citando un testo della Busato con il binomio nessuno – qualcuno che diventa così un esergo esistenzialista. Nonostante si abbia quindi l’illusione di comandare la partita c’è un giudice inesorabile pronto a spogliarci di tutte le mani possibili: lo specchio. Esso racconta, infatti, sempre una storia diversa sicuramente più vera perché alla fine sia nei libri sia nella vita tra dolorose perdite e pesanti rinunce si resta con gli affetti che veramente contano.

Conclusioni

Una saga appassionante da leggere tutta d’un fiato che consiglio vivamente

Voto

4/5

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