La figlia del ferro di Paola Cereda

La figlia del ferro

Iole vive all’Elba, isola di miniere e di ferro. Il bombardamento del 1943 la costringe ad affrontare da sola l’occupazione tedesca e i lunghi mesi che precedono lo sbarco alleato. Figlia di un anarchico, abita a Portoferraio e si mantiene come lavandaia. Mario, un giovane vicino di casa, si accorge di lei, dell’ostinazione del suo sorriso e della determinazione nelle scelte di ogni giorno. Il 1944 è l’anno dello sbarco delle truppe alleate. Tra i soldati in arrivo all’Elba c’è anche Ibrah, un fuciliere senegalese dell’esercito coloniale francese. Ci sono corpi, nel romanzo: il corpo di Iole e quello di Ibrah, i corpi delle donne e quelli dei soldati. Ci sono parole rubate, impossibili da pronunciare perché portano con loro lo smarrimento davanti alle ingiustizie. Se le storie non raccontate non esistono anche quando sono vere, le parole ritrovate portano alla luce una vicenda realmente accaduta e scavano nella domanda: chi è l’altro? Da lì ripartono per raccontare Ibrah e i suoi fantasmi, Iole e il suo coraggio.

Introduzione

Seduta con le gambe accovacciate sull’uscio di casa, una donna bambina osserva il figlio crescere e ridere giocando in libertà. Gli disegna i contorni con gli occhi pur conoscendoli a memoria, lasciandosi coinvolgere da quel sorriso, ignaro ritratto di bene e di male ma portatore di speranza e di un futuro da prendere a morsi. Prega silenziosamente la madre affinchè il pane si moltiplichi incessantemente e le future generazioni non si uccidano tra loro per una guerra di briciole. La fame e la disperazione possono trasformare l’umano in una bestia e si azzanna il fratello per una vivanda di sangue e morte pur di sopravvivere. Lei lo sa bene perché ne porta ancora i sogni, cicatrici indelebili sul corpo e sul cuore. Vorrebbe rubargli stralci d’infanzia perché a lei è stata rubata e ogni tanto perdersi nei meandri della memoria per ricordarne l’’antico sapore, è un’illusoria bellezza che proverebbe a regalarsi se solo potesse. C’è un’unica preoccupazione che affligge il fiore sfiorito dal tempo, lei e il marito hanno, infatti, risposto a tutti i perché esistenziali ma con uno che non saprebbero da che parte cominciare. L’origine del peccato e della vita che si tinge d’orrore e dolore. Se lui dovesse chiederle, perché non somiglio a papà? Lei che cosa direbbe? Non vorrebbe mai che lo spettro della diversità se insediasse nel figlio, non lo sopporterebbe. Una storia di figli della guerra e di una donna forgiata col ferro, ma anche gli spiriti più forti possono scoprirsi scheggiati e allora è in quel preciso momento che iniziano a raccontare .

Aneddoti personali

Ho conosciuto Paola tramite le mie amiche e colleghe de Il mondo incantato dei libri ma non avevo avuto ancora modo di leggere qualcosa di suo. A Palermo durante Una marina di libri ne ho sentito forte il richiamo e oggi dopo un’intensa lettura posso ritenermi soddisfatto di averlo preso. Un romanzo di estrema attualità che è riuscito ad appassionarmi perché alterna crudezza e dolcezza in un periodo in cui la gentilezza era sconosciuta. Il lettore ha la continua sensazione di dipingere con l’autrice una tela bianca che s’impregna di colori e sfumature delicate che dialogano con l’anima di ognuno di noi oltrepassando ogni epoca perché nel dolore non esiste ieri oggi e domani ma solo un tempo infinito di sospensione dove si spera di non annegare e perdersi completamente senza una via d’uscita.

Recensione

Che cos’è la guerra e che colore ha? Difficile rispondere a qualsiasi età, ma per conoscerla veramente bisogna osservare i volti. Vite che tentano una ricostruzione attraversando l’impervio deserto della perdita costringendo a tracciare una nuova personale geografia. Il marrone che si fonde col verde e col blu formando nello spazio infinto specchi d’umano dolore. Non è soltanto la contrapposizione della pace ma un terreno, dove si scontrano gli umani nella similitudine della carne, azzerando ogni cosmopolitismo perché è una lotta singola tra l’io e il mondo, dove ogni patriottico sentimento è una partita a scacchi che si vende pur di salire sul carro del vincitore e riscrivere il finale. Questo vale per i potenti che tracciano la mappa del loro successo sulla pelle dei soldati sfruttati come carne da macello ed è in quel momento che le secche bocche si bagnano come malinconica rugiada del nome dell’amata. L’autrice racconta lo spettro del Secondo conflitto mondiale intrecciando questi due filoni quello militare e quello femminile ed entrambi si congiungono come labbra d’amante sussurrandosi a vicenda il canto dell’attesa per sapere se la casa si può ancora chiamare tale. Un atroce scontro tra poveri. Uno sfondo rosso morte narrato con lo sguardo della classe operaia, su cui spicca la giovane Iole, una ragazzina forgiata dal ferro perché il padre Umberto lavora in miniera. Padre e figlia cercheranno di portare luce all’interno della grotta ideologica perché tutti meritano il fuoco della democrazia e della liberta e non ha importanza se per ottenerlo dovranno affrontare le tenebre. Iole è affamata di libertà e in paese è vista come una nota ribelle che stona l’armonica sottomissione agli uomini e al fascismo. Spiriti anarchici che si nutrono di coraggio mentre riconoscono negli altri la stessa fame che dolore e miseria acuiscono con squarcianti lacerazioni. Mentre Iole cerca di far germogliare tra la sua gente il seme del rispetto e della dignità l’autrice racconta anche un’altra storia. C’è Annarita una donna intrappolata nel ruolo di madre, è così che trova la sua utilità sociale ma quando le figlie mostrano una loro autonomia, si sente una nave alla deriva tanto da cercare un nuovo approdo. C’è Tecla che porta scanditi sul sé più profondo i soprusi riservati alla servitù. C’è il giovane Mario travolto dal peso delle responsabilità che fa a pugni col suo cuore in una lotta interiore tra ragione e sentimento dall’esito non scontato . Ḕ un incessante inverno e tutti alzano gli occhi nella speranza di veder un volo di rondine in quello sfortunato cielo, simboleggerebbe che anche per loro che son povera gente è prevista una rigogliosa primavera. Pagine intrise di morti bianche con riecheggiamenti manzoniani . Ḕ la storia di chi va e di chi resta nel confine dell’Isola d’Elba. Con una prosa incisiva, vivida ma anche estremamente poetica, l’autrice riporta ai lettori un episodio troppo spesso dimenticato. La prima e il dopo lo sbarco. La triste vicenda di Olimpia , qui Iole come nuova Ifigenia vittima sacrificale e scudo delle altre donne . Quarant’otto ore oltre il limes dell’inferno Soldati che baciarono l’isola come nuova Itaca perché convinti che Samarcanda fosse ormai lontana, ma ignari che l’appuntamento con la morte era solo rimandato. Assatanati dalla bramosia del desiderio si spinse oltre il marchio della violenza. Se un oltre è possibile. Ritornano in questo romanzo il rosso e il nero stendhaliano che non è soltanto il contrasto tra passione e potere o amore e morte ma soprattutto volti di donne tra solchi di grano, fango, melma e lacrime di pioggia mentre parallelamente le avvolge una linea rossa sottile di sangue che più del mestruo le invade e ripercuote la loro età, rubandone la giovinezza . Un romanzo di macchie che non scompaiono nemmeno con la lisciva perché per i figli della guerra è impossibile dimenticare e il peso dei ricordi riesce a dominare anche la forza di sognare .

Conclusioni

Un romanzo storico di una disarmante attualità, intenso, profondo, difficile da dimenticare.

Voto

4/5

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