Quante storie possono veramente vantarsi di essere tali? Solo quelle che ti fanno viaggiare con la mente attraverso qualcosa che si sente lontano invece è sempre appartenuto . Ḕ denominata radice culturale ma quando interviene anche quella etnica allora diventa un risarcimento di carezze mancate una coccola all’anima . Ḕ proprio questa l’operazione compiuta abilmente dall’autrice spiegare che il genocidio di un popolo è un fenomeno esistito fin dalla notte dei tempi. Anche gli ebrei hanno avuto la loro Sherazade di nome Ester colei che ha permesso alle stelle di brillare in un oblio già designato. Una giovane che non si salva con il racconto orale ma con le stesse armi dei nemici. Un sottile inganno che fa scattare la trappola della salvezza. Come armatura un cuore pulsante che batte a un ritmo identitario. Una rosa non è mai veramente orfana. Ester è ignara della sua grandezza, è un’eroina inizialmente inconsapevole perché stupisce tutti persino i lettori con la più candida delle virtù: la semplicità. Un racconto quello della Levi che rovescia il canone della bellezza arricchendolo di essenzialità, rendendo forma e sostanza due amanti perfettamente equilibrati. Questa è una storia molto attuale e lo dimostra l’autrice stessa che spoglia il racconto di qualsiasi credenza religiosa e lo incentra sul coraggio femminile l’ingegno e l’autoaffermazione di sfidare uno Stato che vorrebbe le donne sottomesse. Il testo assume così la connotazione di una fiaba che divulgandosi si rivolge al pubblico di ogni età. La fascinazione di un regno lontano crea l’adeguata atmosfera. Tutto quanto è ulteriormente esaltato dalle bellissime illustrazioni di Alessandra Lazzarin. Parola e disegno hanno un tratto comunitario: la gentilezza. Il lettore entra nella società persiana tracciando una schematizzazione su virtù e potere dove il cosiddetto sovrano è stolto poiché segue le indicazioni di un visir che attua un piano diabolico per accrescere la propria supremazia. Il controllo completo delle azioni è solo un’illusione, perché ogni bramosa diavoleria ha il suo interno, profonde crepe. La moglie del re si trova rinnegata del suo titolo per aver alzato la testa da sotto la sabbia. A questo punto il re Assuero ritornato scappa decide di risposarsi con la donna più bella del regno. Ognuna delle ragazze coinvolte pecca di vanità tranne una. Ester. Come ogni fiaba che si rispetti lo scettro della più bella del Reame va alla Biancaneve di turno che in questo caso si dimostra anche scaltra. Una vera principessa, ritratto lucente di dignità con gli occhi di stella e profumo di mirto. Inizialmente la giovane finge di essere un’altra persona ma nel momento in cui lo zio e l’intero popolo ebreo tramite un editto estorto rischiano di scomparire la foglia diventa albero, facendo nascere qualcosa d’inaspettato: la formulazione di un pensiero. La bellezza di questo breve racconto sta anche nello stile poiché l’autrice utilizza un linguaggio colmo di sapiente ironia, dialogando continuamente con l’interlocutore invisibile e schernendo la società attuale costruita sulle briciole del passato. Il testo analizza inoltre, lo stretto legame che intercorre tra cibo e narrazione. Il primo è utilizzato come uno strumento conviviale che dal punto di vista narrativo si trasforma in una mossa sociopolitica che al potente di turno fa abbassare le difese. Alla forza bruta e alla voracità si contrappongono astuzia e digiuno. Ester la bella si dimostra una gemma emozionante che riscalda i cuori, con un finale standardizzato dall’indimenticabile e vissero tutti felici e contenti che qui però ha una doppia valenza. Forse è un’utopia, forse semplicemente uno dei tanti sogni chiuso nel cassetto di chi è abituato a lavorare giornalmente con l’immaginazione ma non si smette di credere in un domani fondato su valori giusti, etici e paritari, perché di tutto questo Ester, ancora oggi continua a essere una perfetta incarnazione .