La strategia dell’ opossum di Roberto Alajmo

La strategia dell’opossum

Quando Mariella, la sorella di Giovà, annunzia alla famiglia: «Mi sposo», restano tutti sbalorditi. Il suo matrimonio con Toni, dopo un fidanzamento durato decenni e distanziato fra Palermo e Torino, era visto come un’evenienza allo stesso tempo utopistica e incombente. La mamma Antonietta, la zia Mariola e la pettegola vicina Mariangela si mettono subito all’opera: la cerimonia deve essere all’altezza per evitare la più vergognosa delle sventure. Ossia che «le persone parlino». Ma il giorno delle nozze succede qualcosa che nessuno aveva previsto. E va tutto a monte. Dalla vergogna della famiglia Di Dio scaturisce un caso, e il comitato investigativo femminile vorrebbe risolverlo incaricando Giovà: l’unico maschio abile e arruolabile, purché si lasci guidare. Giovanni Di Dio, guardia giurata di Partanna, borgata confinante con la più celebre ed elegante Mondello, è uno di quei figli di mamma a cui nessuno affiderebbe un incarico di una qualche importanza. Né lui lo vorrebbe. E se un delitto lo obbliga a fare la parte dell’investigatore, è la verità che deve rotolargli tra i piedi, non lui a trovarla. Della verità, anzi, Giovà diventa l’esca. Poco alla volta si scatena una giostra di doppie vite, minacce incomprensibili, trappole pronte a scattare, cosche rivali, traffici, grandi somme, morti ammazzati, identità misteriose. Dipanando il racconto delle maldestre avventure di Giovà, la soluzione del delitto si fa strada insinuandosi fra le tortuosità della vita e le usanze di una famiglia siciliana sui generis ma nemmeno poi tanto. Giovà si colloca a metà tra il siciliano descritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che aspira solamente al sonno, e il candido Giufà della tradizione popolare. Le sue riluttanti indagini così piene di inciampi sono anche la raffigurazione romanzesca di quella sorta di «maschilismo matriarcale» che nascostamente regna in Sicilia

Introduzione

Quando si pensa che alcune cose si vivano solo nei romanzi perché si dice così, ma tu non hai letto nemmeno una di quella miriade di pagine quindi non ti senti nemmeno scalfito né dal terrore né da adrenalina alcuna. Non penseresti mai che quel bizzarro di destino abbia scelto proprio te per la più grande delle avventure. Ti regala l’illusione di renderti autore e regista delle tue azioni che suonano magicamente come scelte autonome, ma non lo sono perché qualcuno ha già scritto le cose come devono andare. Nel gioco delle parti questa è una partita a carte col mazzo truccato ma si continua a giocare ti sei trovato casualmente dentro e non vuoi che il finale te lo raccontino altri perché usano sempre un linguaggio forbito più per darsi un tono ma ottengono semplicemente lo stato confusionale che si muta ben presto in un gran mal di testa di quelli che non si sa nemmeno compiere una semplice addizione. I personaggi dei romanzi non sono altri che divertenti caricature della gente comune fotografata nell’atto di maggior umana sopravvivenza: il chiacchiericcio. Spesso si tenta maldestramente di lavare il vestito sporco di vergogna in casa ma i muri hanno assorbito troppo e nella loro personificazione chiedono anche loro un’ora d’aria ma talvolta è negato anche questo perché la notizia non può uscire da lì ne vale l’onore e il rispetto di questa speciale e divertente famiglia. A famigghia prima di tutto è l’undicesimo comandamento, già è complesso onorare il padre e la madre figuriamoci tutte le generazioni sepolte e future. Una rottura di cabbasisi cosmica direte voi e forse anzi togliamolo pure, avete pure ragione direbbe lui se solo avesse la forza di parlare. Nel momento in cui sta per esprimere un concetto, ha il tempo di dire un semplice ma insomma che già da solo sta a indicare una confutazione, un’avversione a quel determinato comportamento che ecco spuntare dal nulla, un altro concetto più importante del suo. Ed è allora che quelle maledettissime parole nella sua mente si confondono ancora. Perché per salvare l’onore e il nome della famiglia si sbanda anche all’interno di una trappola che lui invece ribattezzerebbe una grandissima camurria .

Aneddoti personali

Non avevo ancora letto nulla di Roberto nonostante miei diversi amici Filippo in primis me lo consigliassero da qualche tempo. Conosco però la grande versatilità e bravura nel passare come fosse un battito di ciglia dal comico al tragico. Ho avuto l’occasione e l’ho letto con piacere e sorpresa. Questa è stata una lettura scorrevolissima nonostante l’onestà intellettuale che credo di avere io non abbia sopportato per niente il protagonista Giovà. Penso però visto la scrittura magistrale, il sapiente utilizzo del dialetto e un meraviglioso intreccio che sia una scelta voluta. Sicuramente recupererò il precedente e aspetto con ansia anche il successivo per rivedere ancora una volta le mie amate comari in azione. Detto ciò ho avuto altresì modo di scambiare un po’ di battute con l’autore con cui mi auguro dal profondo del cuore possa nascere un’amicizia.

Recensione

Ci sono casi in cui il singolo individuo e la verità sono due rette parallele e Giovà il protagonista di questo romanzo si chiede perché mai la sua geometria esistenziale non poteva continuare a essere questa. Nella pacatezza del suo vivere lui stava comodo come tra due guanciali. Non si ricorda più il giorno in cui quel E ti vengo a cercare smise di essere un brano di Battiato e divenne il suo peggior incubo. L’ospite indesiderato che puzza ancor prima dei tre giorni stabiliti che entra in casa e si rivela ancora più ingombrante della madre Antonietta. Forse il paragone è eccessivo, perché se la verità si scontrasse contro la determinazione di Antonietta soccomberebbe anche lei. Non c’è nulla da fare tutti nelle sue mani diventano zucchine plasmali. Ed è inutile obiettare che in qualsiasi modo la si cucini una zucchina resti sempre tale, la sua anziana madre convincerebbe del contrario e quindi non resta per quieto vivere che annuire più per sfinimento che per altro. In fondo lui è Giovanni Di Dio di nome e di fatto, ma ha la personalità di un punto e virgola. Di fronte a un problema non decide, se la porta è sbarrata scappa dalla finestra ma non rinuncerebbe mai alla sua sospensione. Le sue pause a occhi esterni e ignari della routine sembrerebbero eterne ma sono brevi perché c’è sempre qualcuno che le interrompe. Questa volta a svegliarlo è un’apparente lieta novella. Sua sorella Mariella e il fidanzato Toni si sposano dopo un lungo fidanzamento. Alcuni a questo punto tratteggerebbero gli sposi come due giovani coscienziosi che a causa della crisi hanno rimandato quest’evento. Se non fosse che i due giovani si vedevano pochissimo lei a Palermo e lui a Torino con tutti i cliché Nord / Sud del caso. Il problema è però che questi due personaggi rimangono intrappolati nel peggiore dei clichè che è il matrimonio. Soprattutto al Sud è usanza buona e giusta invitare gente di cui non si conosce nemmeno il volto oppure che si credeva morta da tanto tempo. Toni però all’altare non si presenta e qui che scatta l’inizio dell’intreccio narrativo. Se non riguardasse sua sorella e di conseguenza tutta la sua famiglia lui tratterebbe la questione come una delle innumerevoli puntate di una soap opera di cui ha visto in casa qualche frammento. Spettatore attonito insomma. Il comitato familiare ha decretato senza appellarlo che lui deve essere parte attiva del piano che comprende quello di rintracciare Toni a Torino, farsi spiegare i motivi del gesto, lavare la vergogna e interrompere lo stretto legame di zitellitudine che sembra essersi creato tra il destino avverso e la famiglia Di Dio. Tutti i suoi ma distrutti da un putacaso. Questo rocambolesco microcosmo permette all’autore di tracciare ancora una volta la caratterizzazione della società siciliana come matriarcale e aggiungere altri clichè i giovani bamboccioni e i mariti pupi inermi mossi occasionalmente da un puparo rigorosamente donna. Gli innumerevoli bagni svolti da Giovà sono un espediente narrativo che l’autore utilizza per sottolineare purezza e candore del protagonista e ciò fa da contraltare a una corruzione sociale dilagante. Entrambi unendosi sono il perfetto racconto della decadenza umana. Un pesce fuor d’acqua ritorna nel suo elemento per ritrovare se stesso o almeno quella parte sognante e bambinesca che attraverso qualsiasi contaminazione relazionale perderebbe. Superata la cinquantina Giovà si ritrova a interpretare il ruolo di poliziotto involontario. Perché ruolo è qualcosa che per lui è stretto. Tutto è finzione, di quella verità che lo va cercando nemmeno brandelli d’ombra. Almeno fino a quando Antonietta e il lettore hanno un’epifania e si ritrovano maldestramente a spiegarla a quel detective per caso che ancora una volta non ha compreso la risoluzione e ritiene di aver usufruito della classica fortuna del principiante. Il romanzo si costituisce di ventuno capitoli di varia lunghezza con un linguaggio variegato che alterna magistralmente italiano e dialetto rendendo La strategia dell’opossum un’opera scorrevole armoniosa e musicale pur essendo il regno perfetto dell’assurdo. Il titolo è spiegato mediante una ricca carrellata addizionale di azioni non sense che rappresentano la strategia. Accezione che ingloba tutti i personaggi mentre opossum è una definizione che riguarda solo Giovà, è un cantuccio solitario che custodisce gelosamente attivando quel riflesso caratteristico denominato tanatosi che è tipico di alcuni animali cioè fingersi morto per eludere i predatori. All’interno della narrazione è possibile trovare dei rimandi sciasciani e pirandeliani. Un romanzo in cui per citare ancora Battiato la verità ha bisogno della presenza di Giovà per comprendere la sua essenza sia narrativa sia esistenziale anche se risulta aggrovigliata. Un puzzle in cui ogni pezzo è messo al posto giusto e al lettore non resta altro che stupirsi e divertirsi magari addentando un trancio di pizza. Un comitato investigativo ingombrante ma spassosissimo tutto al femminile che per salvaguardare il doppio taglio del pettegolezzo è pronto a tutto anche a rivolgersi al boss locale ma anche questo come gli altri personaggi è atipico. Tutti loro nel ritratto decadente che ne emerge sono il sacro focolare della commedia. Un romanzo sul ruolo ambivalente del nome che non è solo definizione ma anche trappola, arriva, infatti, per ogni Mattia Pascal o Adriano Meis il momento di sparire e tentare di sfuggire alla morte cogliendo una mendicante certezza senza futuro .

Conclusioni

Un noir spassoso in cui regna l’assurdo. Una Sicilia ancorata a quotidiane velleità che si dimostra però realistica nel racconto della corruzione e nella ritrattazione schematica del bene e del male. Entrambi fanno scattare nella loro unicità un riso amaro che induce comunque alla riflessione .

Voto

4/5

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