Tornare dal bosco di Maddalena Vaglio Tanet

Tornare dal bosco

Il bosco è il bosco, la montagna è la montagna, il paese è il paese e la maestra Silvia è la maestra Silvia, ma è scomparsa. In una piccola comunità agitata dal vento della Storia che investe tutta l’Italia all’inizio degli anni Settanta, Silvia, la maestra, esce di casa una mattina e invece di andare a scuola entra nel bosco. Il motivo, o forse il movente, è la morte di una sua alunna. Non la morte: il suicidio. La comunità la cerca, ma teme che sia troppo tardi, per trovarla o per salvarla, e in qualche modo che queste due morti siano una maledizione. Il paese è di montagna e le paure e i sentimenti, che pure non possono essere negati, non possono nemmeno essere nominati. Teme il paese il contagio di una violenza tutta umana e mai sopita, una violenza che dopo due guerre mondiali si è trasfusa in una guerra civile, politica. La maestra però non si trova e il paese, per continuare a vivere e convivere con il lutto e l’incertezza, si distoglie. In questa distrazione, Martino, il bambino che non è nato nel paese e nemmeno è stato accolto, tagliando per il bosco incrocia un capanno abbandonato, e nel capanno, color della muffa e dorata come il cappello di un fungo, sta la maestra. Il bambino non dice di averla trovata, e la maestra non parla. Ma il bambino torna e la maestra, in fondo, lo aspetta. A partire da fatti reali e racconti di famiglia, articoli di giornali, dicerie e mitologie, Maddalena Vaglio Tanet racconta una storia di possibilità e di fantasmi, di esseri viventi che inciampano in vicende più grandi di loro, e di bambini dei quali – come scriveva Simona Vinci, al suo esordio – non si sa niente, se non che sono gli unici a conoscere quanta realtà ci sia nelle fiabe, quanto amore stia nella paura, e quante sorprese restino acquattate nel bosco.

Introduzione

Che cosa accade quando storia e vita s’intrecciano ?L’essere  umano smette di essere l’artefice del proprio destino e diventa spettatore alla stessa stregua di quello sguardo che non smette di squarciarlo, Costringe ad affrontare per  la   prima   volta fantasmi che si credevano sepolti nei cassetti dei ricordi. Un passato d’abbandono e dolore, perché non tutte le stelle riescono a brillare apertamente, talvolta la luminosità resta celata dal candore delle fragilità. Tolgono persino    la  voglia di sognare, perché si crede che quel sole riscaldi le esistenze di tutti tranne la nostra. La sopravvivenza nell’ombra diventa una lenta e calma abitudine al   punto   che ci si convince che non esiste luce per i figli senza domani.  Bambini che non possono varcare il mondo della fantasia perché nessuno ha raccontato il finale alternativo della fiaba ma quella voce autoritaria e baritonale li ha fin da subito abituati al verismo nudo e crudo, sbattuti come ossi  di   seppia sulla spiaggia dell’attesa, mentre il vortice del tormento ha preso  il  sopravvento.  Un giro di vite incommensurabile che non ha preteso ma solo un unico desiderio che si trasforma in silenziosa e solenne preghiera. Costruirsi mezzo angolo di cielo in cui non aspirare alla suprema felicità ma essere disposti a tutti anche a seguire i sentieri della disperazione pur di raggiungere quella serenità che delle nuvole abbia la forma .

Aneddoti personali

Questo è stato uno dei casi in cui prima  della lettura non   conoscevo l’autrice e nemmeno tanto la storia.   Mi sono fatto trasportare dal titolo fiabesco e dalla bellissima copertina che sembra condurre il lettore in un universo parallelo.  Tutto è evanescente e molto magico e sognante ma la cruda realtà entra senza permesso ed esige di chiudere il conto.    Ringrazio di vero cuore i miei amici Giacomo e Raffaella che me l’hanno regalato per il compleanno, sono un libro prezioso come la loro amicizia.   Mi è piaciuto talmente tanto  che non l’ho solo letto, ma anche bevuto e divorato come mi capita con le storie che mi toccano   il  cuore. Ho provato un  po’ a centellinarlo perché avrei voluto davvero non finisse mai.   Spero vivamente che da qui possa nascere una bella amicizia tra me e l’autrice come tra i suoi stupendi protagonisti.   Adesso tocca riannodare il nastro delle emozioni trasformarle in parole e cercare di convincervi a entrare anche voi nel bosco ad affrontare le vostre paure più intime .

Recensione

Si potrebbe iniziare con era una notte  buia e tempestosa però spesso destino e dolore si beffano degli incipit eleganti e suggestivi perché anche nei campi di loto può nascere un bucaneve.   Non esistono presagi che preparano a un addio.   Si perde costantemente affrontando la sofferenza perché non s’incontra solo la voracità della perdita ma soprattutto ci si scontra con una sconcertante verità che si racchiude tutta nella variabile della vulnerabilità.     Anime che come stelle  cadenti toccano il suolo e le ridenti foglie primaverili in  un  attimo come in  preda   ad un incantesimo mutano della pelle il colore divenendo lacrime d’autunno.  Baci dimenticati nella nebbia dei ricordi che il dolore fa riemergere in tutta la loro cruda nitidezza, pozzanghere abbandonate nel solco di una via che il tempo ha reso pietre insormontabili.   Nel processo della forma tutto può subire una metamorfosi tranne la solitudine.  Non sempre, infatti, dormendo di notte una luce resta accesa, si può essere avvolti dalle ombre ed è lì che ognuno conosce e affronta i colori del proprio buio.  La bacchetta stronca la vita e per questa tragedia la formula resta interrotta perché nessuna rottura prevede integrità. Una canzone a   mezz’aria di cui non si vorrebbe conoscere l’ultima nota per rimandare il drammatico epilogo.    Un grido inascoltato impregnato nella colpa del cuore . Ḕ racchiusa nella monotonia del vivere la quotidianità del paesino ampiamente descritto nelle pagine del romanzo quando la piccola Giovanna dal suo debole arco trafigge  il  cuore degli abitanti della comunità con l’unica freccia a disposizione.  Quante cose modifica un salto, per Alice è la trasfigurazione della meraviglia e della fantasia, per Giovanna la conoscenza diretta dell’oblio.     Una parola piccola come un guscio  di  noce ma che può contenere al suo interno una voragine soprattutto se l’esistenza minimalista della bambina è il ritratto della guerra.   Nell’universo di Giovanna c’è un solo linguaggio vigente è quello della violenza.  Lei secondo il padre è un perpetuarsi di sbagli, ma è proprio quando provi a ribellarti alla ragnatela che il destino attua la sua trappola e la caduta tra terra e cielo è inesorabile.  Un lampo squarcia la quiete dirigendo la tempestosa danza della natura.     C’è poi Silvia la stimata e chiacchierata maestra del paese che come ogni mattina si sta dirigendo a scuola ma aprendo il giornale legge dell’inaccettabile e innaturale morte di Giovanna. Qualcosa d’indescrivibile scatta in lei ed è così che la nuda carne si volatilizza fino  a sparire, non c’è corporeità ma solo volteggiamenti nei rami dell’astrattismo. Giovanna all’interno  del libro, infatti, ha un ruolo ambivalente sono sia una bambina sia la parte oscura di Silvia che riemerge quando la controparte candida è solo un ricordo, il riecheggiamento di una voce lontana.   Il bosco traccia tutto il simbolismo nascosto nel lutto e il riferimento al lato oscuro dei Grimm rende questo testo un ginepro all’interno  del panorama letterario.   Con uno stile asciutto, incisivo e scorrevole e un ritmo avvincente l’autrice dona ai lettori una fiaba dai contorni dark che indaga su una piega sociale di estrema attualità regalando alla narrazione quella magica ciclicità di cui nascita, morte e rigenerazione sono la concreta rappresentazione.  In questo viaggio oscuro e introspettivo sulla colpa s’inserisce Martino, appena giunto in paese quindi non radicato all’interno   delle tradizioni   popolari. Il bambino addentrandosi nella selvaggia natura ritroverà Silvia e manterrà il segreto instaurando con la donna un commovente legame primordiale. A  volte una candida gentilezza può essere la panacea per alleviare un po’ il senso  di  colpa.     Il testo è una continua riscoperta dei valori umani che come rugiada lava le ombre dal cuore.  Pur essendo tre personaggi distinti sono profondamente legati da un filo invisibile che è la negazione dell’infanzia. Per questo l’autrice cerca un modo per dare   voce a quella consequenziale insofferenza a lungo sopita perché loro non sono foglie indistinte dell’albero ma parte   integrante dell’universo.   Ancora  una    volta in chiave strettamente filosofica le difficoltà del vivere e del pensare sono dispiegate con estrema chiarezza da bambini cui tale capacità critica non dovrebbe appartenere alla loro età.   La fiaba non racconta solo l’incessante lotta tra bene e male e in origine il gusto del macabro bensì nel mondo ideale del c’era una volta sì immagina un regno in cui la cordialità regni sovrana e Cappuccetto rosso possa danzare anche col lupo ma se tutti loro vogliono che il bosco sia la casa ne devono avere una in cui poter tornare .

Conclusioni

Un romanzo- fiaba specchio sociologico e antropologico senza tempo di ogni generazione. Una storia dai contorni dark ma capace di emozionare e arrivare al cuore dei lettori di ogni età .

Voto

5/5

Video

Correlati

Citazioni

Note

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.