Tra echi e dualità la guerra non è l’igiene del mondo.  Julio Manuel  de  La  Rosa e la militanza della memoria .

Il quadro desolante di un cielo squartato dall’odore delle bombe accoglie in medias res il lettore interdetto dalla mancanza di fiato che uccide inesorabilmente respiro e parole. L’autore vuole che il lettore impregni totalmente il suo sguardo prima di raccontare. Come abituare gli occhi all’orrore senza che il fumo confondi la brutale visione? Come fosse una ripresa cinematografica si scende sempre più giù negli abissi dell’ inferno che questa volta si sposta dagli argini di un ideale crosta terrestre per raccontare un mare torbido rosso sangue come l’inascoltata e indifferente trasparenza delle lacrime . Un racconto che di terreno ha poco perché la terra è scenario devastante di macerie in una sospensione infinita tra incubo e realtà . Ḕ quando intrinsecamente questi coincidono che scatta come una molla incessante, l’orologio della memoria . Ḕ questa una storia che non contiene nessun c’era una volta perché non è una fiaba. Che cosa accade quando una parabola interrotta diventa una travagliata epopea di un uomo senza Dio perché persino la credenza è persa nella polvere? Forse l’uomo non ha mai veramente creduto oppure più semplicemente in questa storia la fede è soltanto uno dei valori traditi dalla società del massacro corrotta dal potere e dall’ ambizione di pochi che si riversa sull’ impreparata e ignara moltitudine. Per questo il figlio merita di non essere prodigo e di non ritornare a casa? Dov’è però la sua casa ? Un uomo che ha come casa un cielo privo di stelle e con sogni di cartone vaga pur sentendo la stanchezza delle membra , continua con poche soste perché fermarsi equivarrebbe a morire e lui la morte l’ha sfiorata troppe volte per non provare a sfidarla ancora , forse per l’ultima volta . L’eccessivo orrore modifica persino i cardini del rispetto e si riesce a perdonare la scelta di porre autonomamente fine al tormento perché è il suicidio di quei corpi lacerati e di quelle anime che della salvezza non vedono nemmeno un miraggio. Per la prima volta arrivano in Italia un romanzo breve o racconto lungo di Julio Manuel de La Rosa e s’inizia proprio dall’opera postuma grazie alla casa editrice torinese Scritturapura che si è sempre occupata di opere inedite e importanti recuperi. Il testo è una vera e propria gemma, e può considerasi con tutti gli oneri e gli onori un classico contemporaneo della letteratura spagnola. Con il suo stile impressionistico intriso di ricco e intenso lirismo è una prova tangibile di militanza della scrittura e della memoria. Quest’ultimo concetto all’interno del testo s’intreccia abilmente con quello della credenza, non solo religiosa ma anche umana. Il problema, infatti, che autore e personaggio si pongono come detto non è con la morte bensì con il confronto con un altro essere umano. Questa nuova vivida paura genera un drammatico interrogativo sulla veridicità del racconto scritto e narrato dal soldato. Il testo può essere letto oppure accolto soltanto da chi non si accontenta del volto visibilmente smagrito o del corpo emaciato e mutilato, ma è disposto ad ascoltare altro perché il bagaglio più pesante è quello dei ricordi. In questo libro l’autore intreccia abilmente la guerra di Spagna e il Secondo conflitto mondiale, focalizzandosi maggiormente su quest’ultimo analizzando il significato brutale e sociologico della guerra. La guerra non è l’igiene del mondo ma lascia soltanto echi e dualità in una solenne devastazione. La traduzione a cura di Marino Magliani con la supervisione di Alessandro Gianetti e Riccardo Ferrazzi mantiene inalterato l’autobiografismo e il carattere incisivo della parola. Nella suddivisione in capitoli, infatti, essa appare scarna e schietta con riecheggiamenti a Calvino, Pavese e Faulkner. Il protagonista dell’opera è un soldato disertore che cammina lungo una steppa vasta e monotona fino al giorno in cui incrocia la giovane Ana. Una stancante ma dolce vita bucolica che però è una parentesi sospesa perché come sottolineato da uno scrittore italiano denominato nell’opera come il chimico poeta e riconoscibile in Primo Levi, per loro la guerra è soltanto un fantasma che continuerà a bussare alla porta perché la tregua è un ossimoro agrodolce. La casa editrice confeziona una gemma anche dal punto di vista grafico grazie a una copertina suggestiva che racchiude il senso ultimo del vivere e del morire. I colori del tramonto si alternano a quelli di una nuova alba mentre attraverso il flusso di coscienza un soldato non smette di raccontare le sfumature del suo personale buio .