Una coppia rocambolesca e improbabile nell’intricato disgregamento di una poltrona per due. Michele Brusati e un ricatto socio emotivo per disvelare la tela dell’inganno (Blog Tour La teoria dello spillo)

Nessuno si trova al proprio posto quando va in onda l’ennesimo scontro tra le forze del male e quelle del bene poiché nemmeno i due schieramenti si conoscono ci sono molteplici sfumature che li accumunano e li differenziano, pur restandone drammaticamente ignari. Almeno fino a quando entrano in collisione per una casualità di eventi apparentemente slegati ma una volta scoperta l’effettiva concatenazione, essa soffoca come una catena. La nebbia avvolge inesorabilmente confonde ma anche copre. Come se fossero sotto l’effetto di un incantesimo lettore e personaggi non sono pronti per quest’amaro disincanto denominato realtà. La saggezza popolare insegna che a pensar male non si sbaglia quasi mai. In questo romanzo l’autore elimina totalmente la quasi attraverso una personale teoria chiamata dello spillo e incentrata sulle fregature. Incarna tutte le paure e i segreti in un personaggio sui generis Gian Maria Strazzer. Il protagonista fa tutto quello che nella realtà una persona pensa, ma non compie. A limare le sue azioni, un grottesco avvocato in perenne sonnambulismo, il cui risveglio sul finale è ingenuo, traumatico ma anche per certi versi terapeutici. Strazzer può essere paragonato come la parte maligna del Giovà di Alaimo, a questo personaggio lo accomunano il trovarsi perennemente coinvolto in situazioni scomode e la singolare capacità di attirare i guai come una calamità con le dovute epifanie annesse. L’avvocato d’altro canto è l’altra faccia della medaglia, con il suo calibrato equilibra tende ad aiutare l’amico e cliente. Il loro rapporto è continuamente sulla graticola tra amicizia, opportunismo e devozione. I due possono essere considerati una coppia rocambolesca e improbabile che si ritrova suo malgrado a sdoganare vizi e perversioni della comunità. La città di Milano in questo caso è raccontata sottolineando alcune peculiarità l’autore riesce altresì a catturare fotogrammi di estenuante e intricata quotidianità che s’intreccia e si denuda in tutto il suo universalismo . Il romanzo è suddiviso in capitoli brevi come se ognuno di essi fosse un preciso fotogramma dell’album della vita. La vicenda si concentra sul Naviglio e su una Porta Venezia ancora più nera e meno comunitaria di quella raccontata in questi anni da Biagini . Ḕ come se l’autore avesse messo a servizio della sua narrativa il teatro legislativo di August Boal secondo cui il metodo teatrale entra nel rapporto tra istituzione e popolo, dando a quest’ultimo la possibilità di esprimere e mettere in scena le oppressioni. Lo scrittore non risparmia efferatezze e caducità ma sfrutta abilmente i toni magnetici e surreali del teatro dell’assurdo. Citando uno dei suoi maggiori esponenti, ci si può chiedere, dove sia celata la vera lezione? Essa è narrata come una storia comica di azioni sbagliate e peccaminose arrivando all’ apice di un ricatto socio emotivo dalle estreme e impensabili conseguenze. In queste pagine c’è un’aspra denuncia sociale con incarnazioni facilmente riconoscibili sul versante politico e il relativo disgregamento e disvelamento di una poltrona per due. Il vero enigma velato di nero si trova nei meandri della psicologia e dell’anima degli attori coinvolti. I personaggi sono tutti caratterizzanti da marcati contorni caricaturali che si dispiegano nel registro linguistico. Un’indagine introspettiva sui fari del mondo dello spettacolo, come fossero un vero talk show e la tragedia in prima linea. Nel finale un riso amaro e un pugno allo stomaco che permette di riecheggiare nell’aria una vecchia canzone di Elio e Raffaella Carrà “ Non uscire col ministro senza portafoglio perché poi il conto pagare ti fa. Il ritratto decadente di una società cui non resta altro che ballare un’amara presidance.