C’era una volta in un regno lontano, questo è uno degli incipit più classici con cui iniziano moltissime delle fiabe che hanno caratterizzato la nostra infanzia. È sempre bastata questa semplice frase per aprire la porta della fantasia e lasciare libera l’immaginazione. Ogni immagine da idea si trasforma in realtà. Come in tutte le cose, anche qui c’è un grande ma, perché i testi anche nella loro trasposizione cinematografica sono stati sapientemente rimaneggiati. Le storie sono state edulcorate per non cancellare nei bambini la sorpresa e la meraviglia trasformandole in turbamento Gli autori di fiabe dimostrano di avere una naturale predisposizione e passione per il macabro. Le versioni edulcorate sono entrate talmente tanto nell’immaginario collettivo che ci hanno fatto spesso dimenticare quest’aspetto e i testi originali fanno compagnia alla lampada di Aladino nel deserto. Ci si riappropria così del significato etimologico di fantastico. Con questo termine non s’indica un mondo lontano dal reale bensì parallelo. Le azioni pur esulate dal reale perché si pensa non possano accadere restano in qualche modo legate da un rapporto di reciprocità e verosimiglianza. A questo si ricollegano le definizioni che lo scrittore Italo Calvino dà al genere proponendo una classificazione. L’autore era un grande appassionato di fiabe, già nel 1947 con il suo primo romanzo Il sentiero dei nidi di ragno mostra un’apertura ma è soltanto nel 1952 che inizia il fortunato periodo fantastico che trova (tra le altre produzioni) in visconti, baroni e cavalieri l’apice della concretezza di questa storia d’amore mai veramente sopita. Nel 1960 i tre romanzi furono raccolti in una trilogia dal titolo I nostri antenati proprio perché insieme tracciavano un filo rosso indissolubile che eticamente ancora lega gli uomini del passato ai contemporanei Bisogna tuttavia quantomeno accennare anche il grande lavoro di ricerca svolto in quegli anni dall’autore sulle fiabe analizzando le relative tradizioni regionali. Il lavoro culminò nella pubblicazione del volume Fiabe italiane. La classificazione della fantastica proposta da Calvino è binaria si divide, infatti in:
Visionario (Quello che prevede l’inserimento di mostri e fantasmi);
Quotidiano (Gli elementi soprannaturali s’inseriscono nell’animo, scuotendo la sfera interiore e attuando spesso un’analisi introspettiva.);
Nel 1977 fu pubblicato un saggio che è universalmente riconosciuto come pietra miliare del genere ovvero La letteratura fantastica di Cvetan Todorov .
Secondo il filosofo per parlare veramente di fantastico ci deve innanzitutto essere un oscillamento tra il meraviglioso e il perturbante. Chi scrive si concentra maggiormente sull’inconscio del lettore mediante l’evocazione di scene irreali e sfruttare: paure, desideri, credenze popolari, religiose e filosofiche. Ciò si può ulteriormente rendere concreto attraverso l’utilizzo di luoghi o elementi reali come chiese, monasteri, cripte, musei, cimiteri ecc.
Il genere letterario fantastico si suddivide a sua volta in quattro ramificazioni o sottogeneri che sono: fantasy, fantascienza, gotico e horror .
Questa breve introduzione è apparsa necessaria per parlare delle scelte operate da Daria Testoni autrice di questo volume. Esso è un atto d’amore celebrativo nei confronti di una città che è stata nei secoli più volte capitale. Ha perso la centralità del mondo ma la sua importanza non è mai mutata. Si chiama Torino ed è una donna ferita, che si mostra nella sua intima nudità a chi resta ammaliato dall’immortale bellezza. Torino Diabolika è però una guida atipica, una mappa letteraria che nella geografia del brivido si dipana sul piano narrativo utilizzando ben tre linguaggi: scritto (Testoni), fotografico (P. Ranzani), illustrativo (A. Maino). Un volume particolare che si caratterizza per un linguaggio semplice ma accattivante \e il ritmo incalzante e scorrevole. Da segnalare inoltre l’accurata e dettagliata ricerca storiografica. Si può anche decidere di approfondire alcuni dei misteri raccontati perché l’autrice alla fine del volume ha inserito una nutrita bibliografia per ogni capitolo . Una straordinaria femminilità per celare nelle molteplici stanze del suo animo tra vie, monumenti e tanto altro . una miriade di storie da scoprire e raccontare. Un lungo abbraccio tra le pieghe del tempo che si perde nella continua ricerca della luce anche nelle tenebre.
Ecco alcuni dei misteri che trovate nel libro.
1.1 Il mio nome è Diabolik. La genesi di un mito, quando la sanguinosa cronaca accende l’immaginazione.
Chissà quanti di voi hanno letto, visto e amato Diabolik, il genio del crimine . del travestimento, spietato assassino esperto anche nei furti. Il personaggio che è il padre del fumetto noir italiano nacque a Milano nel 1962 da un’idea di Angela Giussani, fumettista e fondatrice della casa editrice Astorina. La donna ben presto fu aiutata anche dalla sorella Luciana. Il personaggio nel corso degli anni ha subito evoluzioni e mutamenti pur mantenendo l’indole criminale, ha sviluppato una propria morale derubando famiglie ricche, banche e personaggi arricchiti illecitamente. La biografia del personaggio è ricca di drammi e ferite che l’uomo tende a mantenere segrete e si scopriranno solo col susseguirsi dei numeri. Se per l’immagine del misterioso e audace criminale, Giussani s’inspiro all’affascinante attore Robert Taylor da dove nasce il nome Diabolik? La donna rammentò un fatto di cronaca di qualche anno prima . Nel 1958 a Torino un misterioso uomo si macchiò di numerosi omicidi . lasciando sulle scene del crimine la firma Diabolic. Questa mente diabolica sfidava apertamente la polizia, così il principale antagonista di Diabolik divenne un poliziotto, quando giunse il momento di decidere il nome, Angela Giussani pensò al marito l’editore della casa editrice Astoria Gino Sansoni e dal suo nome nacque Ginko. Diabolik affascinava per il suo modo di essere ma bisognava trovare qualcuno che scuotesse questa sua freddezza e per questo su questa scia fu creato il suo corrispettivo femminile la meravigliosa e algida Eva Kant I due nel segno del crimine scopre l’amore e costruiscono un rapporto di solida ed esplosiva complicità. Il legame tra Diabolik e Torino pare non si esaurisca qui perché c’è una tesi secondo cui Clerville la città in cui sono ambientati i fumetti abbia diverse analogie con Torino. L’identità del famigerato assassino Diabolic non è stata mai scoperta. Dalle ceneri di un cold case ha avuto inizio un vero e proprio mito, un antieroe che continua ancora oggi ad appassionare tantissime persone .
1.2. Il mistero del Gran Cairo. Un uxoricidio parzialmente risolto
Un luogo che non esiste più, al suo posto soltanto una via inglobata a un’altra che per volere di Mussolini è diventata zona di passaggio. Nel 1925 c’era un hotel si chiamava Gran Cairo e questa è la sua triste parabola che s’incrocia suo malgrado con il fatal destino di una donna molto sfortunata. La donna si chiamava Erina Barbero in arte Bela Rinin, abitava proprio all’hotel Gran Cairo ed esercitava la professione di prostituta per conto del marito e protettore Francesco Cattaneo. L’uomo dal carattere rude e violento era anche un rinomato spacciatore. Qualche tempo prima aveva ucciso un trafficante austriaco, lasciando vivi dei testimoni. Non poteva permettersi di sbagliare ancora, doveva liberarsene, anche se quel testimone era sua moglie. L’unica colpa di Erina se si può definire tale, è stata di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato e di conseguenza di aver visto troppo. L’hotel si trasformò così da paradiso del piacere sessuale a scenario d’inferno carnale. La morte di Erina fu considerata un’uccisione efferata da parte del marito. Il caso sembrerebbe risolto, se non fosse che proprio da lì ebbe inizio la parte più inquietate della vicenda, degna di un intricato romanzo giallo. Tutte queste notizie emersero soltanto dopo il ritrovamento del corpo, ma andiamo con ordine. È mattino il calendario segna 2 ottobre 1925 e l’esistenza di un operaio di nome Luigi Ruffino è sul punto di prendere seguiti inimmaginabili. L’uomo sta percorrendo un tragitto abituale e aspettando un semaforo apre il finestrino per fumarsi una sigaretta. Improvvisamente vede sui binari un pacco voluminoso da cui spunta un piede. Nel frattempo un gruppo dì curiosi si ammassano e armati di coraggio insieme a Ruffino, decidono di aprire il fagotto. Sorpresi e inorriditi scoprono che il pacco contiene due gambe femminili che indossano calze e scarpe con i tacchetti. In altre zone di Torino sono rinvenuti altri pacchi. Un bambino trova quello contenente tronco e braccia, mentre due operai scoprono il fagotto contenente la testa. Si tratta dei resti della donna, passata alla storia come Bela Rinin. Per questa morte macabra è accusato il marito ma emerge che l’uomo ha altri due complici. Solo i primi due entrano in carcere, il terzo non è stato mai rintracciato. La testa di Erina è esposta al museo Lombroso. Un grido di dolore che si trasforma in preghiera per non essere dimenticato e non aver compreso prima che il suo matrimonio era in realtà un amore criminale .
1. 3 Il caffè nero bollente di Giuseppe Marchetti
Questa storia ha inizio da un sogno. Giuseppe Marchetti un giornalista con una laurea in filosofia decide di aprire con due amiche una libreria indipendente e di chiamarla Luna’s Torta. Il sogno dell’uomo che gli amici chiama Beppe diventa una magica realtà. Un caffè letterario dove l’aroma della bevanda e la dolcezza delle torte accompagnano il lettore in un viaggio gustoso che alla fine lo porterà alla scelta del libro giusto per sé. Questa filosofia della gentile coccola nei confronti dei clienti è stata mantenuta rendendo Luna ‘s Torta un vero e proprio punto di ritrovo. Il caffè letterario ancora in rigogliosa attività, con un sito anche colorato e accogliente, tinge la storia della sua Luna di nero ma questa volta non per mano di una zingara. È il 2014 quando Beppe dopo essere stato invitato a un matrimonio e aver rifiutato il pernottamento a causa di un impegno in libreria il lunedì successivo, sparisce nel nulla. Un viaggio come di Ariosto da cui però il nostro protagonista non ha fatto ancora ritorno. Nel corso di quell’anno ci furono alcuni presunti avvistamenti di cui si occupò anche la celebre trasmissione Chi l’ha visto. Nei cuori di amici, clienti e conoscenti c’è ancora viva la speranza che il loro amato Beppe sia un moderno Mattia Pascal e possano un giorno ancora ridere insieme.
1.4 Tra virtù e dolore. Il destino di due donne legate da un palazzo .
Tra le tante opere architettoniche affascinanti di Torino non si può non annoverare palazzo Barolo La sua immane bellezza è pari però all’inquietante e dolorosa storia che si cela tra le sue stanze. Tutto ebbe inizio nel Quattrocento quando la nobile famiglia Provana entra in possesso di un piccolo edificio nel cuore di Torino. Passarono i secoli e alla fine del Seicento Giacinto Provana di Druent dopo essere stato coinvolto in un complotto per spodestare Maria Giovanna Battista e far regnare al suo posto Vittorio Amedeo II di Savoia. Quest’ultimo prima appoggiò i cospiratori ma poi ottenuto l’appoggio di Luigi XIV di Francia, li denunciò. Giacinto fu liberato anche grazie all’importante influenza della famiglia. Giacinto ingrandì tutto e lo trasformò nel Palazzo che oggi conosciamo. L’uomo aveva una figlia di nome Elena Matilde, una donna destinata a essere molto sfortunata e perennemente infelice. Il padre molto autoritario era cosciente che la figlia fosse una delle donne più ambite dai giovani nobili ma alla fine nel 1695 fece sposare la figlia con Gerolamo Falletti di Barolo. L’unione fu piuttosto felice per quanto possibile perché proprio il giorno del matrimonio lo scalone del Palazzo cedette. Non ci furono vittime ma fu considerato un segnale nefasto per l’unione. La povera Elena si trovò in mezzo a due fuochi. Il padre e il marito litigavano continuamente, la dote di Elena era pagata solo parzialmente. Esasperato dal suocero Gerolamo, lasciò la giovane e portò con sé i figli. Elena non resistette a lungo reclusa nel Palazzo lontano dalla famiglia e si uccise per il dolore. La morte della figlia non fermò Giacinto che sperperò la ricchezza nel gioco morendo in miseria. Una sorta di contrappasso per le azioni compiute. La dinastia della Falletti di Barolo nel frattempo continuò e nel 1727 Ottavio Falletti fece ristrutturare il Palazzo. La seconda parte della storia riguarda Giulia Cobert, La donna sposata con Tancredi Falleti iniziò proprio in quel Palazzo le sue attività culturali e filantropiche. Giulia non ebbe figli e si dedicò agli ultimi e ai più bisognosi. Nel 1825 la coppia destinò una parte del Palazzo alla creazione di un asilo per i figli dei lavoratori. Inaugurò diverse scuole, propose al governo una riforma carceraria. Nel 1845 inaugurò anche un ospedale per bambine disabili, nel 1857 fondò una scuola di tessitura e ricamo e si adoperò per incrementare lo sviluppo del Barolo. Per tutte queste attività passò alla Storia come “la marchesa dei poveri “. Per il periodo in cui fu suo ospite, ebbe anche l’aiuto di Silvio Pellico. Giulia in qualche modo segna il riscatto della fragile Elena, ma si dice che lo spirito di quest’ultima aleggi indisturbato nel Palazzo e si ode un grido di dolore di una madre che si è vista strappati i figli Un grido acuto che ha attraversato i secoli .
1.5 La casa degli spiriti italiana. Quando le anime innocenti pagano per la loro esistenza.
All’ombra del castello medievale di Rivoli sorge imponente una villa, che ha avuto nel tempo diverse funzioni. Fu costruita inizialmente per accogliere frati Cappuccini. Poi vi abitarono diverse famiglie fino a quando non divenne proprietà della famiglia Melano. La villa è il palcoscenico dove si è tenuto l’ultimo atto di questa famiglia. La leggenda più accreditata narra che i coniugi Melano avessero una figlia e che la giovane già in tenera s’innamorò ricambiata di un loro servitore. I due amanti a causa della differente estrazione sociale dovettero tenere segreta la loro relazione e ci riuscirono fino a quando lei non rimase incinta. Se pensate al finale e vissero, felici e contenti vi sbagliate I coniugi Melano, infatti, fecero nascere il bambino che crebbe per alcuni anni segretamente in villa. Fecero sposare la figlia con un nobile mentre il servitore rimase a servizio della Meano, così facendo almeno uno dei genitori potè seguire la crescita del figlio. Crescendo il bambino somigliava terribilmente ai genitori e i coniugi Meano ebbero paura che qualcuno un giorno potesse scoprire la verità, così presero una decisione notevole, il bambino doveva morire. E così accadde, il piccolo fu impiccato Quando un giorno la figlia andò a trovare i genitori, salì per caso sulla torre e scoprì il loro orribile segreto. Distrutta dal dolore la giovane, si uccise e nella morte avvenne il ricongiungimento. Si narra poi che il servitore davanti alla morte delle persone che amava di più, impazzì e tutta la rabbia che aveva covato nei confronti dei Melano lo spinse a ucciderli. Dopo questa vicenda la villa fu utilizzata come luogo per rituali satanici e ospedale militare durante le guerre, mentre il fantasma della madre e di suo figlio percorre indisturbati il luogo.
Ecco alcuni dei bellissimi scatti che trovate all’ interno del volume . Ringrazio il fotografo Paolo Ranzani per la gentile concessione