Se pensiamo a un gatto nero nell’immaginario collettivo, la mente va indietro tra le pieghe del tempo fino a quel lontano 1969 in cui durante la manifestazione canora più famosa per bambini, fu presentato un brano iconico che attraversa le epoche: Volevo un gatto nero e tutti così iniziamo a cantare Volevo un gatto nero, tu me lo hai dato bianco ed io non gioco più. Attenti a dirlo però ai superstiziosi. Vi sembra una sciocchezza, beh sicuramente lo è ma la credenza della sfortuna del gatto nero ha origini antichissime risalenti addirittura al Medioevo. Il mezzo di trasporto più utilizzato erano le carrozze e spesso ai cavalli toccava l’ingrato compito di attraversare strade al buio e quando vedevano gatti specialmente neri, s’imbizzarrivano. Papa Gregorio IX aggiunse poi che i gatti neri erano fedeli alle streghe e questo contribuì ad aggravare ulteriormente la già complessa condizione femminile. Come se già non bastasse questo, i gatti neri erano visti come presenze demoniache che nascondevano l’approssimarsi sulle rive più vicine dei pirati oppure altri imprevisti nefasti. Il gatto nero però non è stato sempre accompagnato da quest’aura di sventura. Ad esempio per gli egiziani era un animale sacro Una delle divinità egizie più importanti e più venerate era senza dubbio Bastet principalmente dea della casa, fertilità, nascite e gatti. È rappresentata, infatti, col viso di quest’animale. Nella mitologia greca tra l’altro questa divinità è chiamata Ailluros che in greco vuol dire appunto gatto. Questi animali continuano ad animare altresì anche le pagine della letteratura mondiale Qui saranno in particolar modo analizzati un racconto e un romanzo che nonostante le differenze temporali e geografiche hanno inaspettate affinità. Ciò non toglie che all’interno dell’articolo potete trovare anche delle comparazioni con altre opere. I testi presi in esame sono Nero il gatto di Parigi di Osvaldo Soriano e La piccola Parigi di Massimiliano Alberti. Un incontro letterario tra l’Argentina e l’Italia che racchiude il cosmopolitismo narrativo in una sognante e meravigliosa polifonia. I gatti in entrambi i testi sono spiriti guida che spingono i loro padroncini a conoscere il mondo circostante e non restare chiusi nella loro immobilizzante solitudine Entrambi gli autori raccontano la formazione giovanile utilizzando un linguaggio fruibile e frizzante che sfrutta talvolta l’ironia per narrare i turbamenti che caratterizzano quell’età. Tutto questo crea inaspettatamente un’atmosfera da fiaba moderna che dal c’era una volta, s’intreccia perfettamente con la vita e con la grande Storia Gli autori raccontano l’Argentina e Trieste ma si ritrovano tutti a Parigi. La capitale francese non è solo la città dell’amore ma qui ha una funzione specifica che abbraccia la sfera emotiva e psicologica. Inizialmente sembra una città di carta indecifrabile ma poi una volta capito come leggere i codici nascosti all’interno, attraverso i gatti mostra mappe dell’‘ anima per ridisegnare e ricostruire una via verso la libertà, che si trasforma finalmente in un sogno concretizzante. Prima di addentrarci tra le pagine bisogna fare una piccola digressione. Entrambi gli autori partono da un manifesto e da un locale francese Le Chat noir (Il Gatto Nero). Il locale sito a Montmartre fu fondato nel novembre 1881 dall’impresario teatrale Rodolphe Salis. Egli è considerato il padre del moderno cabaret. Il Gatto Nero alla fine era un vero e proprio night club, in cui i clienti si sedevano, bevevano e assistevano a spettacoli di varietà. Nel suo locale c’erano degli orari da rispettare e tra gli aspetti più innovativi per l’epoca si segnala la presenza fissa di un pianoforte. Tra i diversi spettacoli, uno dei più celebri e acclamati era sicuramente il teatro d’ombre. Il locale è passato alla storia non solo per le capacità innovative del suo fondatore e degli artisti ma anche per il suo manifesto realizzato dal pittore Theophile Steinlen. Entrambi gli autori riprendono la celebre fiaba Il gatto con gli stivali che esiste da metà Cinquecento, nonostante le versioni più famose siano quelle di Perrault e dei fratelli Grimm Un gatto con furbizia riesce a rappresentare la svolta per il nuovo padrone. Soriano e Alberti danno al testo una luce nuova dai toni più drammatici portando i lettori a spasso con la Storia tra avvenimenti che hanno segnato esistenze. Lo scrittore e giornalista argentino Osvaldo Soriano scrisse Nero il gatto di Parigi nel 1989. La prima domanda che si pone sia autore sia lettore è come spiegare la dittatura civile militare che governò l’Argentina dal 24 marzo 1976 al 10 marzo 1983 passata alla storia come il Processo, in un linguaggio semplice che andasse bene per adulti e bambini? Il risultato è sorprendente e toccante. Un bambino è costretto a trasferirsi con la famiglia da Buenos Aires a Parigi e a lasciare parenti, amici e gattina. L’inserimento in un nuovo ambiente per il bambino si rivela tutt’altro che semplice. Il bambino entra in uno stato catatonico fino a quando non subentrano routine e abitudine. C’è però una nota malinconica che i genitori provano a cancellare portando il figlio in un gattile. Lì per la prima volta il bambino incontra Nero, ignaro che la sua vita sta cambiando per sempre. Nero è un gatto autonomo e indipendentemente, passeggia libero per le vie e i tetti parigini. I due con il tempo creano una profonda amicizia che utilizza perlopiù il linguaggio non verbale. Questo rapporto sarà per il bambino l’inizio di una grande avventura. Nero fa comprendere al padroncino che è importante non spezzare la radice d’appartenenza ma che la vera casa è sempre con noi, perché può essere formata da tutti i luoghi del mondo basta che siamo insieme a chi ci vuole bene. Anche lui nonostante sia piccolo può fare la sua personale rivoluzione, ha l’arma più potente di tutte che è la fantasia. Il cambio di prospettiva attua una mutazione dello sguardo e può mostrarci le cose sotto una luce inaspettata L’espediente narrativo del gatto – padrone sui tetti ha almeno un altro esempio famoso fu utilizzato, infatti, dallo scrittore russo Michail Bulgakov nel romanzo Il maestro e Margherita del 1967 Tra i tetti di Mosca con la guida di Behemoth Margherita compie un viaggio iniziatico tra le epoche per comprendere binomi esistenziali fondamentali come reale- irreale e bene – male. Il cielo di Soriano è invece salvifico, perduta nell’orizzonte, c’è la stella della speranza che permetterà ai protagonisti di riempire il libro della loro amicizia di pagine tutte da scrivere .
In tempi più recenti Massimiliano Alberti ci fa conoscere in particolare Benny e Maria che come silenziosi guardiani vegliano sui protagonisti della storia, gatti osservanti che restano punti fissi di un microcosmo destinato alla distruzione ma prima dell’inevitabile catastrofe c’è un lento e inesorabile sgretolamento di luoghi e certezze L’autore pongono il focus su tre rocambolesche esistenze quelle di Lorenzo, Christian e Tullio. Tre giovani in balia del loro destino cercano faticosamente di assegnare un nome alle nascenti emozioni. Il romanzo La piccola Parigi s’inserisce perfettamente nel canone letterario del Buldingroman, analizzando i temi care al genere e inserendo il dualismo tra staticità e innovazione progressista. I tre giovani nel loro intimo vagare imparano che nella vita non c’è soltanto la fantasia ma che il mondo è cosparso di ombre e su tutte indisturbato vigila l’angelo della morte. Un romanzo intriso di tragedie dove ci sono infiniti colpi di scena Una continua lotta tra ragione e sentimento . in cui droga, vizi ed eccessi sono le prove da superare. L’essere umano purtroppo ne esce sempre sconfitto perché a ogni caduta perde un po’ di quel sé e l’immagine è sempre più rarefatta. La contemporaneità s’intreccia con i vicoli di Trieste e le rovine dell’occupazione francese del 1797. L’autore tratta inoltre con estrema delicatezza tematiche come l’abbandono e la malattia mentale , regalando ai lettori pagine che arrivano a toccare le corde più segrete del cuore . Tra antichi segreti da scoprire e mappe da decifrare Lorenzo ripartono da quei gatti che illuminano la vena creativa e gli permettono di realizzare il progetto della piccola Parigi.
La mia città che in ogni parte è viva, ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita pensosa e schiva scriveva Saba definendo Trieste una donna con l’aria scontrosa ma che se capita ogni luogo può parlare e generare amore. Da qui riparte il protagonista del romanzo di Alberti, capisce che Trieste è una donna presente come una madre accogliente che nonostante l’aspetto rugoso desidera riappropriarsi della propria femminilità che credeva perduta. Lorenzo ha imparato che le persone, le città e gli animali non sono oggetti, non basta la colla per mettere a posto. La ricostruzione è un processo lento, faticoso e doloroso ma tutto con la dedizione e l’amore possono rinascere. Anche nella diversità, imparando a vedere col cuore troveremmo gli aspetti che ci rendono unici. Siamo in fondo tutti fragili gabbianelle ma con la guida giusta possiamo trovare dentro di noi la forza necessaria per spiccare il volo.