La ricreazione è finita
Introduzione
Fu in una giornata come tante in preda alla mia apatia esistenziale, fedele compagna di tante microavventure inutili e banali ma proprio in quanto tali così inspiegabilmente rasserenanti che decisi di scuotere la mia vita. Come diceva quella canzone? Pazza idea di far l’amore con lei. Ebbene quello che io ho commesso nei confronti della mia stasi si può considerare alla stessa stregua di un tradimento. Ci sono tanti modi per tradire e quello carnale è soltanto il più usurato per questo mi sono inconsapevolmente mosso all’interno della ramificata e ingarbugliata tela dell’ideologia. Raccontandomi nei miei eterni soliloqui che consapevolmente non lo avrei mai commesso. Il rapporto con la mia coscienza è stato sempre così rocambolesco tanto da somigliare più a un’invasione barbarica che a una casa pulita al millimetro dopo che il padrone ha chiamato l’impresa di pulizia o sfruttato l’ennesima colf di turno, perché in fin dei conti amici illustrissimi e carissimi che avete letto queste pagine o vi accingete a farlo mi dite chi in questo pazzo mondo si assume più le sue responsabilità? Del nessuno che Ulisse gridò a Polifemo, è rimasto soltanto un’eco. Eppure questo incartamento di bugie si è rivelato una caramella amara. Ero convinto di saper fare ancora il palloncino con la Big Babol invece questa bomba mi è scoppiata tra le mani. Una partita per dimostrare alle mie innocue consapevolezze di essere ancora una volta fuori stagione come la neve col sole. Talvolta gli elementi improbabili però se accuratamente mischiati possono rivelare sorprese. Devo ritornare alla questione del tradimento perché se fosse avvenuto per un vecchio amore, avrei potuto affermare di star pregustando l’ultima briciola di un rimpianto invece fin dalla prima volta che lei è apparsa nella mia vita, è stato chiaro a entrambi che non sarebbe stato amore e nemmeno un calesse (per concedermi una citazione popolare e semicolta). Ḕ un po’ come un assassino che ritorna nel luogo del delitto per controllare se ha lasciato prove. Si è mai visto? Una pura follia! Ci tengo a precisare che io non sono un assassino, l’unico omicidio plurimo che ho commesso è stato contro un gruppo di zanzare che ostinatamente volevano risucchiare il mio sangue. Questa prerogativa la permetto soltanto a lei solo dopo esser comodamente annegato in bagni di alcool. Vi starete chiedendo (ho l’umana presunzione che voi lo stiate facendo come l’ultimo degli scribacchini lo riconosco da solo. A mia discolpa o mia umilissima colpa come volete, posso aggiungere che negli ultimi tempi la mia vita è stata così impregnata di pseudo intellettualismo che inevitabilmente qualche rovinoso strascico l’ha lasciato ) chi sia questa donna, schermo che è venuta a bussare alla mia porta nemmeno fossi Dante, per perlustrarmi infine nient’altro che una vita nuova intrinsecamente vecchia che ben s’intreccia con l’abitudine. A questo punto i cattolici praticanti chiuderebbero il discorso con un bell’Amen che mi sono accorto salva sempre nelle situazioni più disperate quando non sai nuotare e non hai nemmeno a disposizione quell’insopportabile salvagente fenicottero che proprio in quel momento ha deciso di migrare in altri lidi. Lasciarvi così senza avervi detto nulla e tutto allo stesso tempo, sarebbe da vigliacchi. L’onestà con il lettore prima di tutto e allora vi dico che se fossi un cantautore potrei chiamare la mia donna Lia, Giulia, Anna, Francesca, Cristina invece sono soltanto io senza alcuna velleità artistica ma è già difficile così credetemi. Pertanto la chiamo con il nome più comune di tutti, ma al cui passaggio suonano campane altisonanti, poiché la mia donna è l’università. Eh si dopo un percorso non troppo brillante mi ritrovo intrappolato nuovamente nella sua tela. Da quando ho maturato questa decisione, ho iniziato a non dormire e le mie notti sono state popolate da fantasmi cui dare forma. Col senno di poi ringrazio invece la mia incoscienza perché mi ha permesso di arrivare a una crescita tardiva. Come diceva il buon Manzi Non è mai troppo tardi, lo slogan di un’Italia che fu che se permettete faccio un po’ mio. Ho conosciuto così il volto dell’impotenza, la morte, la meschinità tutto accuratamente insabbiato dal perbenismo e dal mutamento del linguaggio. C’è stato un tempo in cui la pazzia si curava con l’elettroshock adesso non più, fortunatamente, ma mi era rimasta la febbrile curiosità di saperne di più e così ci si accorge che non si può disinnescare una bomba senza essergli vicino. E fu così che con il passare del tempo di quella fulgida eccitazione iniziale rimase solo il brivido. Tanto disgustato quanto allibito dalla scoperta, seduto su una panchina, iniziai a incastrare i pezzi di quel puzzle esistenziale e fu lì che lo incontrai la prima volta. Credete che io sia quel Dario Ferrari che è scritto in copertina ?Non lo sono e di conseguenza lui non è me. Semplicemente perché Dario mi è stato accanto tutti questi pomeriggi, queste notti. Non perdeva un appuntamento, e come se andassi da un analista, mi lasciava parlare e lui scriveva alternando le parole d’inchiostro a fragorose risate di cui ancora sento il suono. La sua affabilità e la propensione all’ascolto mi hanno conquistato e così ho lasciato a lui il compito di scrivere il mio manifesto che è un po’ romanzo, un po’ testamento perché in fondo prima di rinascere moriamo un po’ tutti. Per me è arrivato il momento di dormire e ritornare a essere un tutt’uno col mio amato divano. La valutazione di tutto questo la lascio a quelli che si riempiono di paroloni nelle sedi opportune. Ai posteri l’ardua sentenza ma a voi chiedo una cortesia se dovessero fare l’appello
Ricordatevi che io sono e sarò per sempre il vostro
Marcello Gori
Aneddoti personali
Devo ammettere la mia iniziale ritrosia nei confronti di questo romanzo ma semplicemente perché ne parlavano veramente tutti ed io per natura umana e letteraria tendo a diffidare dei fenomeni perché puntualmente mi deludono o si sgonfiano da soli. Questo libro poi mi è stato regalato dalla mia amica Noemi C. con parole entusiastiche. Proprio qualche giorno fa la mia amica libraia Maria Pia mi conferma che l’autore avrebbe presentato il libro nelle nostre zone e così mi accingo a leggerlo. Intanto l’ho divorato in due giorni senza accorgermene e poi è riuscito nell’impresa di farmi apprezzare l’umorismo che di solito nei libri non sopporto Non, ridevo così da anni leggendo, ma soprattutto ho amato l’analisi degli anni Settanta e lo stile mi ha folgorato. Ringrazio sinceramente Noemi per questo dono straordinario e nel cuore porto la speranza che quello di ieri con Dario possa essere l’inizio di una grande amicizia .
Recensione
La verità e la menzogna danzano vertiginosamente in questo microcosmo, un teatro evanescente eppure così reale, palcoscenico mistificante di un vacuo domani che è diventato già oggi .
Questa è l’insegna che il lettor – viandante trova all’interno di questo microcosmo e così inizia tremando ad analizzarne gli spazi circostanti e a delimitarne i contorni. La percezione apatica di un sogno si rivela un vivido incubo quando il placido inganno gioca a dadi con l’umana comprensione e allora da che parte stare se la sorte è in balia del movimento oscillante di un pendolo? Lo scontro appare perduto ancor prima di iniziare fino a quando non ci si perde nei meandri dell’immaginazione perché in fondo la metaletteratura non è altro che una coperta per dialogare con il reale quando esso appare ripugnante e devastante Si racconta di ciò ma se qualcuno dovesse obiettare allora ci si potrebbe salvare dicendo che tutto questo è una schermaglia di luci e ombre del grande teatro della finzione. In fondo la vita non è altro che una commedia grottesca in cui ci s’illude di essere protagonisti ma ci si può sentire fortunati se in questa mediocrità esistenziale si recita un ruolo da comprimari. Alla fine significa aver interpretato un ruolo funzionale allo sviluppo drammatico ma che cosa accadrebbe se un giorno improvvisamente il presunto re si trovasse spodestato e senza corona? L’autore, infatti, attualizza e teatralizza i vestiti nuovi dell’imperatore di Andersen. Nel regno patinato e ovattato delle accademie toscane la principale autorità è Raffaele Sacrosanti, italianista che dall’alto del suo trono considera opinabile ogni verità che non appartenga alla sua concreta volontà e ideologia. Durante i concorsi l’emerito docente ha le sue predilezioni quindi attua ogni forma di favoritismo sottoscrivendo la pietra tombale della meritocrazia. Anche in questo caso andrà così. L’uomo punta su Marcello Gori per proteggere il suo oscuro passato poiché il giovane non possiede quell’acume intellettivo e critico che potrebbe far tremare o addirittura crollare la scacchiera del suo universo. Marcello si può considerare un inetto, un trentenne senza alcuna abilità né capacità, le cui azioni sono svolte esclusivamente per forza oppositiva alla volontà paterna, la cui autorità non è riconosciuta poiché l’ ‘anima del giovane è ancora afflitta dall’abbandono adolescenziale. Vince il concorso per il dottorato ed è quindi questo Caronte improvvisato a traghettare il lettore nei meandri del bosco dell’indicibile. Come può un eterno Peter Pan tramutarsi in Ulisse senza compiere il dantesco folle volo? Il romanzo è la risposta contemporanea a Scuola di nudo di Siti, scevro però di tutta la carnalità di quell’opera e offrendo una prospettiva differente, affronta, infatti, alcuni temi comuni dall’altra parte della riva che non è il cosiddetto baronato accademico bensì la visione del popolo. L’imperatore Sacrosanti compie un errore convinto di poter controllare e manipolare il dottorando, imponendogli come oggetto di studio le opere di Tito Sella. Un autore sicuramente minore che non è conosciuto a Viareggio e nelle zone limitrofe per la bibliografia ma per la sua militanza . Ḕ infatti, un terrorista. Una mossa fallace che permette alla perfetta incarnazione di Oblomov e Zeno Cosini d’incontrare la metaletteratura. In questo processo identitario rarefatto e prismatico avviene l’illuminante epifania che non è soltanto soluzione ma anche l’arma della confutazione che annulla così ogni ebete venerazione. Il titolo ha un significato ambivalente in base alla percezione, può essere letto sia come il tramonto dell’infanzia e il raggiungimento di un’agognata e sofferta maturità ma altresì anche come l’annullamento di ogni orpello spoglio di ogni involucro il re senza saperlo è finalmente nudo e analizzato nella sua essenza. Il romanzo può essere riassunto con un verso di una canzone dei Nomadi secondo cui seduto sul trono della supremazia il re si accontenta dei trionfi che raggiunge all’interno del suo regno di cartone mentre il popolo ha bisogno di trovare un senso, un’emozione e perfino una rivoluzione. La struttura è articolata e affascinante, un libro diviso in quattro parti che contiene anche un romanzo nel romanzo. Lo stile è fluido e magistralmente introspettivo. C’è una dettagliata descrizione sociopolitica degli anni Settanta in chiave tragicomica. Il seme di una ribellione giovanile segno che il germe reboante della rivolta non si può a lungo procrastinare. Tra rivalità, eroina sequestri surreali Tito, Emma, Giorgio, Athos e Barabba secondo il verso vendittiano bomba o non bomba riusciranno a raggiungere la loro Roma? La ferocia di un gioco da grandi dove le armi si alternano ai balocchi in una trama costruita come un ordigno in cui il cielo si tinge di un nero più scuro della notte . Un romanzo di denuncia ma anche un accattivante noir in cui i personaggi si ribellano, si confondo e s’incarnano in molteplici identità. Nulla è come sembra sul palcoscenico della commedia umana in cui tra gli intrighi e le trappole si cercano perennemente vie di fuga, ma spesso quest’esercito di uomini indipendentemente dalle epoche è schiacciato e in un finale non consolatorio si annidano gocce di calibrato umorismo affogando così in un mare di nuove e amare consapevolezze.
Conclusioni
Un gioiello della letteratura contemporanea assolutamente da non perdere che vi farà divertire ma anche indurre alla riflessione .