D’amore e di rabbia di Giusy Sciacca

D’amore e di rabbia

Sicilia, luglio 1922. A Lentini, centro agricolo della provincia siracusana sotto il fiato dell’Etna, avviene un sanguinoso fatto di cronaca, poi sepolto dalla polvere. Tra i protagonisti anche Maria Giudice, fervente sindacalista di origine lombarda e madre della scrittrice Goliarda Sapienza. Alla vigilia della prepotente affermazione fascista, nella cittadina si consuma un’accesa lotta di classe tra la decadente nobiltà latifondista, arroccata nel palazzo baronale dei Beneventano della Corte, e i braccianti. In mezzo, sul confine di quei due mondi, c’è Amelia Di Stefano, una donna fuori posto. Un proverbio popolare siciliano recita che un uccello in gabbia non canta per amore ma per rabbia. Amelia è una donna in trappola. Catanese di nobili origini, ha pagato duramente un errore commesso da giovane. Ora, tradita dalla famiglia e dagli amici della Catania dei salotti, si ritrova in esilio a Lentini, dove oscilla tra la relazione clandestina che la vincola a Francesco, primogenito del potente barone Beneventano della Corte, e il carisma della fiamma ideologica di Mariano Fortunato, personalità di spicco del sindacalismo locale. Attorno a lei, il popolino, la putía di Santina, i dammusi umidi, i colori e le voci del mercato, le corse dei devoti a piedi scalzi, le vanedde strette, la Grotta dei Santi e i suoi miracoli. A confortarla saranno l’affetto di Enza, capociurma di campagna dalla forte personalità, il sorriso imperfetto di Tanino, l’amico artigiano, o ancora la presenza di Ciccio lo sciancato, ultimo tra gli invisibili, che c’è sempre. I due universi convivono, si intrecciano. E Amelia sempre in mezzo, sempre in bilico. Fino a quando non si imporrà l’imperativo di una scelta. E allora nulla sarà come prima.
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Introduzione

Un inno di amore e morte accompagna le strade della Sicilia riannodando il filo della memoria, perché tutto è stato guadagnato col sapore amaro del sangue e della fatica. Non c’è diritto di nascita che tenga tutto si racconta con tono coraggioso e determinato perché il tempo della rivendicazione è quel momento in cui la paura si accartoccia e si muta in un brivido lungo la schiena che fa compiere una scelta sopita nelle redini del cuore esattamente quando si rischia di perdere il proprio sé ancora una volta .

Aneddoti personali

Conosco Giusina da anni ormai, tanti i libri letti e consigliati e la posso considerare uno dei magici doni che quest’universo dei libri mi ha voluto fare. Tanti i messaggi scambiati in questi anni e ci siamo visti per la prima volta la scorsa estate perché il tour del libro ha fatto tappa a Custonaci. Nella stupenda rassegna curata magistralmente dalla mia amica Valentina P. Un’ altra persona straordinaria che ama i bei libri con tutta l’anima e li racconta divinamente. Che il libro di Giusy fosse bello lo sapeva già ancor prima di averlo letto perché conosco la sua levatura culturale e quindi posso dire di non essere rimasto deluso. L’ho letto due volte prima della suddetta presentazione e poi per valutarlo al Premio Erice. Avevo il piacere di parlarne una volta condivisa la lettura con un po’ di amici. Ora che il momento è giunto non vedo l’ora di raccontarvi ufficialmente le mie impressioni. Penso che le mie due amiche Giusy e Silvia abbiano fatto centro nel credere nel potenziale di Amelia e soprattutto nel commovente dolore di Enza che resta impresso nella mente e intriso nella pelle. Avrei maggiormente rafforzato le pennellate riservate al riquadro storico, ma nel complesso si è rivelata ancora una volta una piacevole lettura che porta il lettore a fronteggiarsi con demoni, passioni e ideali. Adesso posso ringraziare ufficialmente la mia amica abbracciandola e conservando la speranza di rivederci ancora .

Recensione

È l’alba di un giorno qualunque e tra una cipria e un nuovo vestito da provare filtra in uno specchio l’immagine rarefatta di una donna con cui il tempo è stato clemente almeno esteriormente perché le lacerazioni del cuore sono sopite in un cantuccio dell’anima. La sera mentre osserva il chiarore della luna riemergono rumorose in un triste pianto che converge in un unico grande fiume che aspetta incalzante la possibilità di essere ascoltato tra le molteplici pieghe del tempo. Un dolore che ha incrinato la voce ma che non ha alterato la bellezza e per questo la donna ha un sorriso smorzato per quell’arma che è stata sia fugace salvezza sia implacabile condanna. Il suo sguardo è ormai spento, chi l’ha conosciuta faticherebbe a riconoscerla perché di quell’antica fiamma sono rimasti cumuli sbiaditi di cenere. Un baratto necessario per continuare la sua coraggiosa sopravvivenza tra le note stonate di un canto d’amore e morte che s’incrocia ineluttabile in una collana di perle che del tutto segna solo la fine e l’inizio. Lei sta al centro del bivio, fino a quando nei suoi nuovi abiti decide di mostrarsi tra le vie della città e cammina mentre la velenosa orda del pettegolezzo accompagna incessantemente il suo passaggio. Questo è il fotogramma un po’ sbiadito di un tempo che fu. Attraverso lei quegli stessi anni appaiono in tutta la loro vividezza. Ha conosciuto il volto della passione e l’ha avuto sempre come nemico, le risucchiava insaziabile persino il colore del sangue lasciando lividi nella nuda carne. Una marchiatura originale nata dal veleno dell’ipocrisia per una donna che è stata rinnegata persino dalla sua stessa città. Non può abbandonare del tutto la Sicilia perché nella scura mezzanotte che è la sua esistenza, non può smettere di raccontare la sua storia e di come sia riuscita a tramutare il persuaso seme dell’ingratitudine in indomabile coraggio. Amelia Di Stefano nel suo lungo e vorticoso cammino incrocerà altre pietre sorelle come Santina, Enza e Carmela che indossano nel nudo e fiero petto il baluardo della diversità. In un avvincente affresco patriottico l’autrice narra il primo ventennio del Novecento focalizzandosi sulla rivendicazione territoriale di una riforma agraria dalla caratterizzazione popolare. Il sudore e la fatica sono l’unità con cui si misura il susseguirsi dei giorni in un malcontento inconsolabile dove mancanza, fame e malattia lasciano inesorabilmente la loro traccia. Il romanzo è suddiviso in nove capitoli di varia lunghezza, e il ritmo della narrazione è scorrevole. Un romanzo che indaga la nobiltà nella coincidente bramosia tra desiderio e possesso, un ballo reboante che ne segna l’aristocratico tramonto e di conseguenza l’alba delle prime forme di sindacalismo. Da che parte sta la voce del cuore? In un’estenuante lotta tra ragione e cuore, ambizione opportunismo e omertà offuscano i sentimenti e la verità sfruttando la coperta della menzogna. Tra passioni adulterine, amori contrastati e impossibili la serrata epopea emotiva di una donna che tra nuove privazioni e dolori in un canto d’inaspettata libertà rimembra quanto sia importante amare se stessi ed è questa la sua lezione più grande

Conclusioni

Una lettura piacevole e scorrevole in un affresco intenso che racconta tutte le sfumature dell’amore .

Voto

4/5

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