Dare pugni al vento per muovere l’implacabile ruota del destino.  Elena  Mearini e la parabola infernale di due anime violentemente imperfette

Le storie anche quelle più tristi iniziano in una mattina di sole, in fondo estate – inverno, giorno e notte e amore e morte non sono altro che un binomio contrastante, punti indelebili di un percorso tutto da tracciare. Inferno e Paradiso in fondo sono mete definite, ma in medias stat virtus dicevano i latini e forse dopo una lucida ricognizione spaziale e concettuale aggiungeremmo che in questo fantomatico mezzo ci abitano più anime che nelle mete più ambite tanto da renderle spiagge desolate. Gli ossi di seppia e i cocci di bottiglia possono formare un loro piccolo grande esercito. Nella dura sopravvivenza s’impongono un non troppo velato schieramento. Si osservano e si scontrano strenuamente fino a quando si accorgono di parlare lo stesso linguaggio quello della passiva sopraffazione. Allora riscoprono la perduta corporeità e si sfiorano facendo intravedere uno squarcio di anima. L’incontro permette di concentrare tutta la rabbia e farla uscire sgorgante emettendo un grido squarciante di dolore. Assolato e solitario quel grido come fosse un’ammissione di colpa. Come se superiorità e inferiorità fossero aghi della stessa bilancia. Qualsiasi errore ha bisogno di una metafora per sopravvivere perché spoglio di tutto con la crudezza della verità, non ci sarebbe confronto. Ḕ così che in questa terra di mezzo trovano un loro posto verità e inganno in un gioco che obbliga a trovare una scappatoia per non soccombere. E se il punto di fuga fosse un’inesorabile illusione ? Ḕ questa la triste parabola dell’essere umano, ognuno scavando nel profondo del suo essere troverebbe mulini a vento da fronteggiare . Ḕ questa la parabola esistenzialista di Stefano e Marta. Due anime violentemente imperfette che metterebbero l’insegnamento moraleggiante sotto le suole delle scarpe per farlo incontrare con la polvere in un appuntamento al buio dall’esito incerto. L’autrice si addentra magistralmente nei torbidi canali della sofferenza sfruttando la voracità del linguaggio della violenza. Pur mantenendo il suo carattere diretto e squarciante l’autrice, ha il grande merito di renderlo soave poesia. La scrittrice e il linguaggio attuano un loro duello. Uno scontro aperto tra anima e virilità, ma nessuno dei due contendenti vuole arrendersi, mollare non è contemplato fino a quando non comprendono che la via da seguire è quella della contaminazione e così si mostrano al lettore in tutta la loro folgorante e abbagliante potenza. Il libro è un racconto lungo, un magistrale connubio tra narrativa classica ed evocazione memorialistica da entrambe emergono però affascinanti sfumature noir. Polvere sei e polvere diventerai si posa come una spada di Damocle sulla testa dei personaggi che danno pugni al vento per far muovere la ruota del destino. Il nemico è invisibile perche loro nei meandri della perdizione hanno perso la corporeità e possono osservare la versione rarefatta del sé solo mediante lo sguardo dell’altro e nell’attimo sospeso tra giudizio e comprensione. Quella tra Stefano e Marta è la relazione malata di due cuori alla deriva. I personaggi, infatti, comprendono solo alla fine cosa intendeva Fossati quando scrisse che” la costruzione di un amore non ripaga del dolore ma è solo un altare di sabbia in riva al mare “ soprattutto quando di tempo non ce n’è nemmeno per il perdono. Nelle pagine l’autrice cerca di diluire la rabbia dei protagonisti dando un significato al loro male di vivere. Nonostante le loro azioni deplorevoli non si riescono a odiare del tutto. Il loro destino è quello degli eterni secondi. Stefano è un rinomato professore di liceo che poteva diventare un pugile famoso ma travolto dalla rabbia, commette un errore fatale e il suo sogno si scioglie come neve al sole. Non potendo rinunciare del tutto alla propria passione tiene dei corsi di autodifesa per gli alunni più promettenti. Marta è continuamente in preda alla frase “ ma ahimè sei nate tu “ che non ha traumatizzato solo Lady Oscar. Il suo eterno confronto è con la sorella maggiore Ada che rasenta la perfezione. Il seme della gelosia germoglia fino a far abitare il cuore di Marta dai corvi. Quando inizia, la storia è accaduta già tutto Ada è morta e lo è anche Marta, quest’ultima per mano di Stefano che da suo professore è diventato fidanzato. Quello che potrebbe essere tracciato come un femminicidio nasconde in realtà indicibili e sconvolgenti verità. Mearini sceglie di ambientare tutto all’interno della palestra che Stefano frequentava da giovane. Lì ritrova il buon Mario, l’ex allenatore. Nel corso della narrazione l’uomo che è l’unico personaggio positivo come un moderno Virgilio col profumo di un padre guida Stefano nei meandri vorticosi del suo buio alla ricerca del flebile colore della speranza. La scelta compiuta non è casuale. Lo sport dovrebbe essere il regno dell’esaltazione dei valori e quindi diventa il settore narrativo privilegiato quando questi si sono perduti. In questa confessione allo specchio Mearini inserisce degli stralci di storia del pugilato. La costruzione di questo spietato e commovente Corpo a corpo è ritualistica. L’autrice non solo comincia dalla fine per terminare con un inizio ma anche la pulizia della palestra ha le sue fasi purificanti proprie come se fosse attuato un nuovo battesimo profondamente umano. In questa indagine introspettiva su come rendere i rapporti egualitari emergono solitudini, malattie, ossessioni. Si scava e il trapasso è bruscamente interrotto mentre la cupezza del cielo fluttua sulle onde la dormiente stasi della fine annebbiando persino la schiuma dei ricordi e la bimba attende che il mare la chiami per ricevere per la prima volta un abbraccio avvolgente che tarda ad arrivare. Un testo in cui ogni relazione ha un fantasma che funge da terzo incomodo, ma qui è la creta a rendere malleabili i corpi, è il primo passo per prepararli all’infernale danza della morte.