Recensione in Anteprima. Qui nessuno dice niente . Un anno di scuola tra i carcerati di Domenico Conoscenti

Qui nessuno dice niente . Un anno di scuola tra i carcerati

Questo libro è il diario di un anno di insegnamento in un carcere giudiziario siciliano alla fine degli anni ’80. Con una scrittura diretta l’autore racconta l’impatto con l’ambiente carcerario, le fasi alterne di aperture e diffidenze reciproche fra insegnante e studenti-detenuti, i frammenti di vissuti personali e gli aspetti della relazione didattica all’interno di un contesto particolare, governato anche da informali rapporti di forza. Emergono così le riflessioni sui controversi effetti delle pene detentive e l’interrogativo fondamentale sul trattamento da riservare ai devianti: dura condanna e perentoria punizione o possibilità di redenzione e reinserimento in società? In chiusura la nota di Mario Gozzini, promotore della riforma carceraria del 1986.

Introduzione

Il mondo fuori non è come lo immagini, sembra una sintetica paternale, invece è la dura realtà. Un imprevisto cambio di prospettiva dove fuori e dentro sono due emisferi astratti e interscambiabili che nella loro concretezza intrappolano l’individuo nella loro ragnatela. Al centro c’è il sogno di un ragazzo a un passo dalla realizzazione che prende, però una brusca deviazione e ciò è destinato a segnarlo per sempre. Il sogno perde la sua centralità perché l’io non è più solo, ha tanti tu di cui occuparsi e la speranza nel cuore di superare l’umana diffidenza per trasformarli in un comunitario noi. La devastazione incombe ma il giovane sa che non può permettersi cedimenti perché ha ormai delle responsabilità nei confronti di quegli sguardi vacui che lo fissano con fredda estraneità. Gli esami non finiscono mai, ma è in questi particolari momenti che si comprende realmente che è il percorso che fa la differenza. Un termine abusato che però traccia nella strada impervia della vita tragitti inimmaginabili che trovano pazientemente un loro collegamento. Quando s’immagina d’insegnare ci si prefissa traguardi e obiettivi ma puntualmente quando quella platea da invisibile diventa tangibile, allora essi subiscono un notevole stravolgimento. In ogni luogo ci sono delle sbarre da superare, lo ricorda Domenico Conoscenti con il suo libro Qui nessuno dice niente che dopo trent’anni ritorna in libreria e nonostante il tempo sia passato, non si legge soltanto un piccolo taccuino di ricordi ma pagine impregnate di disarmante attualità. Il tempo è una variabile che spesso come un fiume si fissa nel suo scorrere che sembra inesorabile ma può anche disarmare per la sua lentezza. Ogni elemento deve sottostare alla legge non scritta della contraddizione, dove a ogni fine corrisponde un inizio.

Aneddoti personali

Ho saputo di questo libro leggendo il programma del Festival letterario palermitano Una marina di libri. In quell’occasione è stato presentato in anteprima. Lo fissavo in continuazione domandandomi se fosse il caso di prenderlo e di recensirlo. La tema è abbastanza forte e mi sono interrogato tanto se avessi la maturità necessaria per leggerlo e scriverci Ho deciso di mettermi ancora una volta in gioco rischiando e menomale. Sarò sempre legato a questo libro non solo perché è stato uno dei due testi che mi ha fatto incontrare Francesco e Nicola i miei amici Palindromi che spero di rivedere presto in altre occasioni, perché mi sono entrati nel cuore, ma anche perché è stata una lettura piacevolmente devastante. Mi piacciono quei libri che fanno male, ma che alla fine ti lasciano dentro qualcosa. Durante la lettura ho avuto la possibilità anche di scambiare un paio di battute con Domenico, con cui spero veramente con tutto il cuore possa nascere una profonda amicizia. È stata una lettura piacevolissima che mi ha fatto provare sentimenti contrastanti. Da un lato sentivo il mio animo pervaso da una profonda malinconia, ma dall’altro percepivo che si stava rigenerando perché in queste pagine ho trovato tanta di quell’umanità forse perduta. È con questi sentimenti che mi accingo a scrivere la recensione.

Recensione

Ci s’interroga mai sul significato etimologico che è celato all’interno della parola educare? Dal latino educere , condurre o tirare fuori . Indica quindi un rapporto tra almeno due persone. Non esiste un vero punto d’arrivo ma è qualcosa in completo divenire che si costruisce lentamente e se ne segue la sua evoluzione. Questo è ancor più marcato nelle carceri, dove oltre alla diffidenza ci si deve scontrare pesantemente con l’alterità. In queste pagine l’autore racconta con una prosa ricca scorrevole e coinvolgente l’aver insegnato negli anni Ottanta per un anno nel carcere di Favignana. All’interno del testo il luogo non è mai nominato ma si comprende attraverso alcuni elementi sparsi. Con la lettura del romanzo ci si riappropria del significato intrinseco di finito/ non finito, luogo / non luogo. Tutte le coppie dicotomiche si azzerano perché si trovano, inglobate in una realtà, dove tempo e spazio attraverso la circoscrizione tentano di sfuggire alla sospensione in cui vivono tutti i protagonisti. Mentre lo spazio narrativo è delimitato da celle adibite ad aule, il tempo è scandito dalle pagine di diario in cui l’autore descrive quella particolare quotidianità. Domenico è un giovane di ventottenne che come primo incarico ha quello d’insegnare le materie umanistiche di base a un gruppo di detenuti adulti. Il profilo che ne consegue è quello di un giovane intimorito da qualcosa di più grande. Col tempo tuttavia comprende che non deve attuare una rieducazione bensì portare luce in un posto dove regnano le ombre. Per alcune parti del libro c’è una divisione netta tra i corsisti destinati a stare perennemente in carcere e l’insegnante che ha la possibilità di uscire e quindi avere contatti con l’esterno. Il mutamento atmosferico coincide con un cambiamento narrativo e ciò comporta una notevole rivoluzione nella mappa della narrazione. L’impossibilità di prendere l’aliscafo unisce Domenico e i carcerati perché vivono la condizione di esule. Ciò permette un’apertura empatica nel rapporto tra docente e discenti, poiché come sostenuto da Guardini, anche l’esistenza può diventare un carcere quando non ci si apre all’altro e lo spirito improvvisamente si ammala. L’autore entra in contatto con il significato socio antropologico di colpa, pena, errore e caduta. Non c’è mai da parte dell’autore la volontà di giustificare gli atti commessi dai suoi allievi prima, chi sbaglia deve pagare ma si combatte per una corretta applicazione della legge. La conoscenza ha ancor più in questo contesto il compito di regalare socialità e briciole di confronto e civiltà. A rendere quest’opera unica è il taglio che Conoscenti dà al testo. Il lato introspettivo della scrittura come strumento d’analisi profonda dell’io e la scelta di focalizzarsi su tracce libere e sulle novelle, poiché il racconto breve ha non solo valenza didattica ma anche un valore moralizzante che scuote inevitabilmente le coscienze di tutti i protagonisti. All’interno di queste classi dove alcuni tentano di emergere su altri, si narrano storie di vita di uomini che trovandosi insieme cercano di sensibilizzare il proprio animo alla geografia dell’ascolto, degli altri e del sé. Solitudini alla ricerca di una disperata sopravvivenza che riflettendo sugli aspetti civici della Costituzione non solo donano una nuova veste critica al mito della Caverna e allo Stato ideale ma alimentano una nuova speranza che il loro domani possa essere diverso. Un viaggio intimistico di un gruppo di uomini abituati a convivere con un male di vivere che in queste pagine prende forma, non esiste una vera e propria guida, perché ognuno si ritrova suo malgrado segua il proprio destino. Si lasciano indietro tante persone se ne conserva vivo il ricordo mentre la vita ha pronto per il singolo un nuovo capitolo tutto da scrivere.

Conclusioni

Una lettura impegnativa ma assolutamente necessaria che sa far  riflettere ed emozionare, ve lo consiglio caldamente .
 

Voto

5/5

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