Scardinando il ruggito del pettegolezzo.  Davide Ficarra narra la quotidianità come una lunga soap  opera, dove l’ironia squarcia le identità

Chi l’ha detto che per viaggiare occorre per forza fare una gita fuori   porta? Si   tende    a  soffermarsi   su  tutto   ciò   che  è lontano    senza   accorgersi    che    la  più   grande   avventura      si   trova    a  un  palmo   di  naso   tra    gli   sterpi    e  i   rovi   dell’  anima.    Non ci sono principesse da risvegliare da sonni incantati né principi dal regale portamento, quelli si trovano nelle fiabe e nei romanzi.  La vita è un’altra storia e ci sono eroi e armi diverse per fronteggiare un nemico comunitario senza volto che porta il nome di quotidianità che smembra e li cattura nella rete della routine che si ripete affannosamente in maniera ciclica. Non sono più uomini e donne ma automi che svolgono le azioni meccanicamente senza pathos alcuno perché la linfa  vitale si sta spegnendo in loro. Gli esseri    umani son come le foglie acquisiscono e perdono colore secondo la stagione.  Lo afferma persino Ungaretti e potreste obiettare che tutto va contestualizzato ma perché? In fondo questa quotidianità non è altro che una guerra dal campo   di   battaglia un po’ più esteso dove tutti cercano di sopravvivere con quello che hanno, con sogni e progetti, realizzabili oppure no, non ha  importanza, ma è fondamentale che ci siano per alimentare l’immaginazione.   Tuttavia ognuno è costretto ad arrendersi allo scandire inesorabile del tempo. Allora a chi rivolgersi per non soccombere? L’eroe dei nostri giorni e anche un  po’   di tutte le epoche è lo scrittore.  Un eroe sui   generis che non ha armature e come spada ha una penna altrettanto affilata perché scava nelle stanze più segrete di ognuno con rispetto e gentilezza ma sempre squarciando.  Il suo superpotere è il narrare ma solo i tratti più caldi e ruvidi traspaiono di verità. Quella   stessa verità che come canta Arisa ognuno ha la sua e c’è chi ci ha ragione e chi non ci ha. L’autore narra ai lettori di leoni ed ecco che la fantasia ci riecheggiano Mufasa e Simba che parlano di esistenzialismo ammirando la vasta rupe dei Re.  Si sa che la fantasia fa dei voli   pindarici beh, forse è giunto il momento di ridimensionare gli spazi.  Allora questi Leoni sono importanti e facoltosi come i Florio.  Importanti e famosi non di certo, ma sicuramente son capaci di costruire un cantuccio nel cuore di ognuno e restarci. Davide Ficarra in fondo non compie alcun viaggio, ma racconta la quotidianità di un semplice e rocambolesco condominio.  L’autore prepara ai lettori un menù completo ricco e variegato.  Palazzo  Leoni è come un dolce a strati rosanero che idealmente abbraccia tutta Palermo mostrando per la città devozione e incondizionato amore. A ogni strato corrispondono uno o più piani dell’edificio.   Gli abitanti appartengono a diversi classi sociali ma sono tutti accomunati dalla voglia di apparire agli occhi dei lettori e degli altri come il ritratto di famiglie felici.  L’apparenza si salva sempre, anche se poi la sera si prende il digestivo e s’incolpa i peperoni.  L’uccellino narratore osserva dal davanzale gli abitanti andare in bagno fumarsi una sigaretta e leggere il giornale, aprirlo nella sezione dedicata alla cronaca   locale e accorgersi che quei volti non sono sconosciuti perché almeno  una  volta si è preso l’ascensore insieme.  Una domanda lega e aleggia indisturbata in tutti gli appartamenti cosa accadde a Vitangelo   Moscarda quando la moglie gli disse che il suo naso era storto oppure Belluca quando sentì il treno fischiare? I  vari   inquilini   di   Palazzo  Leoni   sono  fotografati     in  questa   medesima   condizione   .  Con ia verve sicula che lo contraddistingue e uno stile scorrevole dal tratto irriverente narra di una rivisitazione economica di Lisbetta da Messina di boccacciana memoria, utilizzando le piante per nascondere sconvolgenti sorprese oppure di una suocera rompiscatole al  pari   di Viola   Fields, il celebre personaggio interpretato da Jane   Fonda, che sembra nascondere un doloroso segreto nel suo passato tra miseria e nobiltà oppure ancora truffe amorose, bande di ragazzi che come i personaggi di Molnar giocano, si scontrano e si tuffano nella Storia. Furti, dolci e sparizioni che danno ai racconti una spolveratina di noir come fosse candido zucchero  a velo.  L’autore racconta tutto questo attraverso l’arma più potente di tutti, scardina, infatti, il ruggito del pettegolezzo in tutte le sue forme e la quotidianità s’intreccia e si aggroviglia come una lunga soap   opera, dove l’ironia squarcia le identità mettendole  in   crisi.  Commercianti si ritrovano assassini per salvare la roba e le macchie non si possono cancellare col sapone perché non si tratta di sugo e loro sono come Macbeth trafitti da un profondo senso  di  colpa che non avverte più il raggio   di  sole, ma è perennemente notte.  Un sincero accurato e profondo affresco della Sicilia dagli anni   Sessanta agli Ottanta in cui i personaggi si perdono, ma l’importante è ritrovarsi la sera a tavola tra cotolette panelle, crocchette e dolci vari e potersi raccontare la giornata oppure mettersi in macchina accendere la radio a  tutto  volume e cantare a  squarciagola che nonostante tutte le catastrofi, le battaglie quotidiane, i problemi e le scadenze, in ogni  angolo del mondo la solitudine pesa ma basta alzare   gli   occhi   al cielo scoprire che è sempre  più blu e forse tracciare una via verso la serenità .